martedì 28 febbraio 2012

Da "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust

Trovo molto ragionevole la credenza celtica che le anime di quelli che abbiamo perduto siano prigioniere in qualche essere inferiore, una bestia, un vegetale, una cosa inanimata, perdute per noi fino al giorno, che per molti non arriva mai, in cui ci troviamo a passare vicino all'albero, a entrare in possesso dell'oggetto che le tiene prigioniere. Allora sobbalzano, ci chiamano, e appena le abbiamo riconosciute, l'incantesimo si spezza. Liberate da noi, hanno vinto la morte e ritornano a vivere con noi.
È così per il nostro passato. È invano che cerchiamo di rievocarlo, tutti gli sforzi della nostra intelligenza sono inutili. È nascosto al di fuori del suo campo e della sua portata, in qualche oggetto materiale (nella sensazione che un oggetto materiale ci potrebbe dare) che non sospettiamo. Quell'oggetto, dipende dal caso che lo incontriamo prima di morire, o che non lo incontriamo affatto.

(Marcel Proust: "Alla ricerca del tempo perduto - Dalla parte di Swann", F.lli Melita Editori, La Spezia 1988, p. 49)

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