mercoledì 29 febbraio 2012

Ò visto

I

Ò visto la folla per le vie,
la folla passare gaia.
Ma più gaia di tutti
era una bimba
che aveva trovato il modo
di comprarsi una bambola...
 
 
II

Ò visto la folla peregrinare
davanti al santuario:
c'erano gli storpi, i paralitici,
gli etici, i ciechi:
tutti erano tristi,
ma la cosa più triste
era il volto di un bimbo
che non poteva comprare un fischietto che gli piaceva
e che stava sul banco della fiera
che c'è sempre vicino ai santuari.
Tutte le altre tristezze vicino alla sua
parevano diminuite...
 
 
III

Ò visto le monache passare tra i letti
dell'ospedale,
passare piane leggere
con un ticchettìo di rosari
sulle gonne grossolane;
e avevano gli occhi buoni,
gli occhi sommessi e calmi,
e io mi sono ricordato di Dog,
del mio povero cane,
che mi guardava con occhi simili
quando io ero malato...



 
"Ò visto" fa parte della raccolta "Gli orti", poesie di Nino Oxilia (1889-1917) pubblicate postume nel 1918; vi sono comprese le più note liriche del poeta torinese che aveva fatto uscire nel 1909 un altro libro di versi: "Canti brevi"  decisamente poco conosciuto e per nulla considerato. La poesia in questione si differenzia abbastanza dalle altre della medesima raccolta, dove spesso si notano delle caratteristiche in parte lontane dal crepuscolarismo, e molto più consone col futurismo: movimento artistico che andava diffondendosi proprio nel periodo in cui Oxilia abbozzava i versi che sarebbero confluiti ne "Gli Orti" e che forse attrasse parzialmente il poeta. "Ò visto" è invece una poesia più che mai crepuscolare, dove domina un'aura di tristezza palpabile e dove le immagini entrano senza mezzi termini in quel repertorio della poesia crepuscolare che comprendeva luoghi religiosi, suore, poveri animali, bimbi tristi ed altro ancora. Fa eccezione però la prima parte della poesia di Oxilia, dove si parla di una "folla gaia" e una "bambina felice", in netto contrasto con i poveri "tristi" che nella seconda parte affollano l'entrata del santuario; così come col bimbo che, al contrario della bambina, non è riuscito a comprarsi il giocattolo che desiderava. L'ultima parte è dedicata alla bontà ed alla malattia: protagoniste, oltre che simboli, sono le suore dell'ospedale e il cane (morto) del poeta.


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