giovedì 16 agosto 2012

I canti nella poesia italiana decadente e simbolista

Il canto è un argomento molto frequente nelle poesie dei decadenti e dei simbolisti, e può assumere vari significati; molto spesso i canti posseggono una sorta di incanto fascinatorio, molto simile a quello causato dalle mitiche Sirene; a questo proposito vi sono poesie (come "La Sirena" di Giovanni Pascoli e, più marcatamente, "Il canto delle sirene" di Tito Marrone) che si rifanno chiaramente a tali simboli. Anche il mistero, una volta di più, caratterizza in molti casi i canti, così come una intensa spiritualità. Ricorrenti sono pure i canti degli uccelli, tra i quali è l'usignolo a farla da padrone.
Passando ad una sommaria descrizione di alcune poesie, Antonino Anile in "Il canto dell'usignuolo" descrive la divina melodia del canto di questo uccello durante la notte, capace di creare una situazione incantata e estasiata che coinvolge tutti gli esseri della natura circostante.
Alfredo Catapano esterna la sua grande meraviglia nello scoprire che l'artefice di un canto meraviglioso non è altri che un uomo anziano e si chiede se il suo inno sia ispirato dalla imminente morte o dalla vita già vissuta.
Giovanni Alfredo Cesareo in un mite tramonto primaverile rimane ammaliato ascoltando un malinconico canto che sembra arrivare da un'anima vissuta in un tempo lontano. Sempre il Cesareo in un'altra poesia parla del canto di un gallo che gli impedisce di dormire e gli trasmette pensieri funebri; lo stesso canto in Govoni suscita ansie e preoccupazioni esistenziali.
Gabriele D'Annunzio racconta di un "canto solenne" ascoltato all'interno della basilica di San Pietro che "al mondo rivela un divino dolore". Pregna di un misticismo che però non ha nulla a che vedere col cristianesimo è "I cantori" di Giuseppe Lipparini.
I versi di Francesco Gaeta narrano di una terribile tempesta e del pauroso canto che ne scaturisce arcanamente.
Un'atmosfera incantata è di nuovo presente in uno dei "Notturni" di Adolfo De Bosis, dove, una volta di più, sono gli usignoli col loro canto a creare una sorta di paradiso terrestre.
Una figura femminile piena di aspetti arcani e ricca di grazia divina è la protagonista sei versi di Luisa Giaconi: "Ella", come la definisce la poetessa, intona un "antico e lento poema suo", e, mentre alcuni uomini la ascoltano in silenzio, Ella passa e si avvia verso i "suoi templi lontanissimi d'oro". Parlando poi di una poesia di Giuseppe Lipparini, anche Kate, come Ella, cammina cantando e si caratterizza per il profondo mistero della sua figura e del suo canto. È sempre una donna ad ammaliare con una melodiosa voce il poeta Cosimo Giorgieri Contri, che la ferma e le parla rimanendo poi ipnotizzato dai suoi occhi.
Giribaldi sente il canto dell'usignolo che arriva dalle sbarre della sua cella e che lo aiuta a sopprtare la disperazione causata dalla mancanza di libertà. Di nuovo un uccello, il chiurlo, cantando sommuove nella mente di Angiolo Orvieto sensazioni che gli fanno pensare ad una voce lontana in cerca, col suo straziante canto, di una speranza ormai inutile.
Arturo Graf si commuove ascoltando una voce enigmatica che, in una notte stellata, intona una famosa aria di Vincenzo Bellini: "Casta Diva"; mentre Corrado Govoni si chiede donde venga una misteriosissima canzone portata dal vento. Simile a quella del Graf è una poesia di Pompeo Bettini in cui un dolcissimo canto di donna conduce il poeta alla meditazione e alla malinconia.
Nell'ambito della poesia crepuscolare si trovano elementi contrastanti: Guelfo Civinini è sollecitato da una sconosciuta interlocutrice a cantargli qualcosa, e lui allora pensa ad una vecchia romanza dimenticata da tutti, che gli possa ricordare un passato gioioso ormai perso del tutto; Corrado Govoni consiglia ad una piccola canzonettista di smettere il suo canto, ché secondo lui suscita soltanto tristezza e malinconia; Tito Marrone canta alla donna amata una serenata triste, poiché la sua voce è malata e la sua anima è morta; infine Fausto Maria Martini durante un pomeriggio trascorso in casa sente il suono di un pianoforte che gli fa tornare in mente i momenti in cui la sua donna, ora lontana, suonava lo strumento a corda e cantava delle canzonette; a ciò pensando decide di mandargli un messaggio in cui gli chiede di ritornare per cantargli la canzonetta della sua morte.
 
 
 
Poesie sull'argomento
Antonino Anile: "Il canto dell'usignuolo" in "Poesie" (1921).
Pompeo Bettini: "Una dolcissima bocca" in «Cronaca moderna», febbraio 1895.
Alfredo Catapano: "Per un vecchio che canta" in "Dai Canti" (1929).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Sfuma ranciato il vespero sul mare" in "Le consolatrici" (1905).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Canto di galli" in "I canti di Pan" (1920).
Guelfo Civinini: "Una romanza dimenticata" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Guglielmo Felice Damiani: "Serenata" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "In San Pietro" in "Elegie romane" (1892).
Adolfo De Bosis: "Cantano rosignoli entro laureti" in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).
Federico De Maria: "La Canzone dell'Usignuolo" in "Voci" (1903).
Marcus De Rubris: "Ó sentito più volte una canzone" in "Anima nova" (1906).
Francesco Gaeta: "La tempesta" in "Sonetti voluttuosi e altre poesie" (1906).
Diego Garoglio: "L'usignolo" e "Canto e pianoforte" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Luisa Giaconi: "Armonia" in "Tebaide" (1909).
Giulio Gianelli: "Pianto d'amore" in «Il Momento Illustrato», agosto 1906.
Cosimo Giorgieri Contri: "Marina di Versilia" in "La donna del velo" (1905).
Alessandro Giribaldi: "Ad un piccolo cantore" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni "Il canto del gallo" e "Canzone al vento" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Ad una piccola canzonettista" in "Poesie elettriche" (1911).
Arturo Graf: "Casta Diva" in "Le Rime della Selva" (1906).
Marco Lessona: "Il canto delle stelle" in "Ritmi" (1902).
Giuseppe Lipparini: "Kate" e "I cantori" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Olindo Malagodi: "Un canto del mistero" in "Poesie vecchie e nuove (1890-1915)" (1928).
Tito Marrone: "Il canto delle sirene" e "Serenata nuziale" in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone: "Una palida luce" in "Le rime del commiato" (1901).
Fausto Maria Martini: "La canzonetta" in "Panem nostrum" (1907).
Fausto Maria Martini: "Elegia del «caffè concerto»" in "Poesie provinciali" (1910).
Angiolo Orvieto: "Chiurlòdo" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Enrico Panzacchi: "Terribil sirena invernale" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "La Sirena" in "Myricae" (1900).
Francesco Pastonchi: "Canto di mendicante" in "I versetti" (1930).
Romolo Quaglino: "Le schiave" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Fausto Salvatori, "Alita il vento ed è la prima sera" in "In ombra d'amore" (1929).
Carlo Vallini: "Regnando il mezzodì sotto la cava" in "La rinunzia" (1907).
 
 
 
Testi
TERRIBIL SIRENA INVERNALE
di Enrico Panzacchi

Par dentro alla neve, tra gli alberi,
la piccola casa sepolta.
Tu canti ; e non sai nella tenebra
chi fuori, pensoso, t'ascolta;

t'ascolta cantare, cantare
in mesti volubili metri.
Rosseggian riflesse nei vetri
le fiamme del tuo focolare.

Ho freddo. Nei sensi, nell'anima
mi filtra un affanno mortale.
Tu evochi le care memorie,
terribil sirena invernale!

Danno echi d'angoscia e di pianti
gli avori del tuo pianoforte;
un tetro pensiero di morte
esala ne' dolci tuoi canti.

(Da "Poesie")

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