domenica 12 agosto 2012

Le campane nella poesia italiana decadente e simbolista

Le campane sono, principalmente, il simbolo della cristianità e il loro suono è la voce di Dio che unisce cielo e terra. Molto spesso i poeti decadenti e simbolisti parlando di campane avevano come riferimento la religione cristiana, ma a volte non era così. Ci sono infatti alcuni casi in cui la campana diviene il simbolo di un passato glorioso ormai irripetibile, altre volte assume valore di ricordo affettivo, altre ancora di ammonimento, di dolore o di morte. Il suono delle campane ha attratto questi scrittori come molti altri di tutte le epoche poiché possiede un fascino mistico e magico, malinconico e favoloso; per tal motivo sono molti i versi che insigni poeti, da Pascoli a Corazzini, da Graf a Buzzi, hanno dedicato loro.
 
 

Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "La campana invisibile" in "Poesie" (1929).
Sandro Baganzani: "Campane di sera" in "Senzanome" (1924).
Ugo Betti: "Le campane" in "Il Re pensieroso" (1922).
Ettore Botteghi: "Mattutino" in "Poesie" (1902).
Paolo Buzzi: "Le campane" in "Aeroplani" (1909).
Giovanni Camerana: "È la festa doman della Madonna" in "Poesie" (1968).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Campana a sera" in "Le consolatrici" (1905).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Oscura una campana" in "I canti di Pan" (1920).
Sergio Corazzini: "Campana" in «Marforio», febbraio 1903.
Sergio Corazzini: "La campana" in "Marforio", giugno 1903.
Guglielmo Felice Damiani: "Campane" in "Lira spezzata" (1912).
Federico De Maria: "Campane" (I e II) in "Voci" (1903).
Ugo Ghiron: "Campana a stormo" in "Poesie (1908-1930)" (1932).
Luisa Giaconi: "Suoni di campane" in "Tebaide" (1912).
Alessandro Giribaldi: "Rintocchi" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "O campane argentine" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Le campane" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "La campana" in "Medusa" (1890).
Arturo Graf: "Ultima campana" in "Le Danaidi" (1897).
Tito Marrone: "Le campane" in "Liriche" (1904).
Pietro Mastri: "Ai piedi del campanile di Giotto" in "La fronda oscillante" (1923).
Nino Oxilia: "Un tocco di campana" in "Canti brevi" (1909).
Giovanni Pascoli: "Alba festiva" in "Myricae" (1900).
Francesco Pastonchi: "Ave Maria" in "Sul limite dell'ombra" (1905).
Giulio Salvadori: "Vespere jam facto" in «Domenica letteraria», febbraio 1884.
Fausto Salvatori: "Santa Francesca Romana" in "La Terra promessa" (1907).
Alessandro Varaldo: "Non più ricordi. Tutta la riviera" in "Marine liguri" (1898).
Mario Venditti, "Dies festus" in "Il terzetto" (1911).
Mario Venditti, "La campana che ammonisce" in "Il cuore al trapezio" (1921).
 
 
 
Testi

AVE MARIA
di Francesco Pastonchi

Le squille dell'Ave Maria
Ondeggiano in grembo alla sera.
Sia pace a colui che desia,
Sia pace a colui che dispera!

È l'ora in cui giunge il pensiero
A plaghe nel sogno intraviste:
S'umilia dinnanzi al mistero
La gloria di mille conquiste.

È l'ora che il vinto si adagia,
Si affonda in un torpido stagno
E invoca la Morte randagia
Che venga a troncare il suo lagno.

È l'ora in cui torna in cammino
Il povero che s'è sfamato,
Guardando il fulgor vespertino
Dall'orlo di un roco fossato.

Le squille dell'Ave Maria
Si spengono in grembo alla sera...
Sia pace a colui che s'avvia
Incontro alla notte sua, nera.

(Da "Sul limite dell'ombra")
 
 
 
 
LA CAMPANA CHE AMMONISCE
di Mario Venditti

Suona la seconda volta
e suonerà poi la terza
questa campana che sferza
l'anima di chi la ascolta.

Se l'eco tale non fosse,
parrebbe un giorno d'aprile:
ha un che di primaverile
la vitalba a foglie rosse;

e il sole ha troppi diademi
perché dian perle i nostri occhi;
e innanzi ai nostri ginocchi
sembran rose i crisantemi.

Ma forse tale è la squilla
proprio per questo: diversa
sarebbe ad aria non tersa
e a vitalba non vermiglia.

(Da "Il cuore al trapezio")

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