domenica 28 ottobre 2012

Il cigno nella poesia italiana decadente e simbolista

Simbolo tra i più antichi della storia dell'umanità, il cigno rappresenta la perfezione, vista anche la bellezza e l'eleganza che possiede l'uccello. A tal proposito è significativa la leggenda risalente alla mitologia greca secondo la quale Giove si mutò in cigno per sedurre Leda. Ma il cigno è anche simbolo di nascita, di nobiltà (specialmente in Gran Bretagna), di purezza (per i cristiani) e di morte. In quest'ultimo caso è d'uopo ricordare un'altra leggenda, quella del "Canto del Cigno", che vede l'uccello, in procinto di morire, intonare un canto melodioso. Nei poeti decadenti e simbolisti l'animale assume un po' tutte queste simbologie e viene spesso inserito in un contesto favolistico, insieme ad altre figure (come quella del pavone) che compongono il repertorio della poesia liberty d'inizio Novecento.
 

 
Poesie sull'argomento


Mario Adobati: "I cigni e la rena" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Enrico Cavacchioli: "I cigni" in "Le ranocchie turchine" (1908).
Federico De Maria: "Il Cigno" in "Voci" (1903).
Giuliano Donati Pétteni: "I cigni" in "Intimità" (1926).
Augusto Garsia: "Il canto del cigno" in "Opposte voci" (1921).
Giacomo Gigli: "Riflessi" in "Maggiolata" (1904).
Corrado Govoni: "I cigni" in "Le fiale" (1903).
Arturo Graf: "Il canto del cigno" in "Medusa" (1890).
Ettore Moschino: "Il cigno" in "I Lauri" (1908).
Giovanni Pascoli: "Il transito" in "Primi Poemetti" (1904).
Aurelio Ugolini: "Ninfee e cigni" in "Viburna" (1908).
Teofilo Valenti: "L'isola dei cigni" in "Le Visioni" (1906).
 
 

Testi

RIFLESSI
di Giacomo Gigli

Come nel cielo di maggio limpido
piccola bianca nuvola,
tranquillo vagola il cigno candido
per l'acqua cheta, immobile;

Talor col becco giallo le morbide
piume del dorso tergesi,
talora immerge ratto la piccola
testa piegando l'agile

collo, talora tutto riscotesi,
preso come da un brivido:
le penne bianche riflessi tremuli
ànno, bagliori argentei.

Entro lo specchio terso del liquido,
intera in ogni margine,
dritta, del cigno la pura imagine:
e, insieme al cigno, gli esili

rami spioventi dei lunghi salici
- i salici davidici -,
pietre muscose cui veste l'edera,
muse paradisiache.

Da un ramo stanco gialla staccatasi,
or bacia l'acqua un'arida
foglia: or nel placido lago ella mirasi:
sull'acqua corre un fremito:

- Quali invisibili fate sospirano?
tutto ritorna immobile:
il cigno guata con l'occhio stupido:
un pettirosso spittina.

(Da "Maggiolata")

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