sabato 15 dicembre 2012

Il freddo in 20 brani letterari

Esistono due tipi di freddo.
C'è il freddo esterno, che percepisco a partire dal mese di dicembre, e che mi crea fastidi e dolori, poiché io mal sopporto la stagione invernale, soprattutto quando è più cruda del solito, con tante giornate rigide, quando il freddo penetra nelle ossa e causa sofferenza. Dicembre, gennaio e febbraio sono i mesi in cui questo freddo la fa da padrone, e non se ne va fino all'arrivo della primavera, che a volte giunge - ahimè - in ritardo, facendo sì che l'inverno si prolunghi ulteriormente. 
C'è, pure, un freddo interno, che io ho cominciato ad avvertire fin dall'adolescenza, ogniqualvolta mi accorgevo di essere completamente solo, in disarmonia con tutti gli esseri umani che mi circondavano. Mi rendevo conto di avere pensieri, sentimenti, opinioni ed emozioni che nulla o quasi avevano a che vedere con il resto dell'umanità. Quando, negli anni che seguirono, cercai in ogni modo qualcosa che potesse unirmi minimamente, almeno ad un essere umano, per brevi periodi m'illusi di averlo trovato; poi, finalmente capii che ciò era impossibile. Così, il mio isolamento crebbe, e alla stessa stregua si fece più intenso il freddo all' interno della mia anima, sempre più scoraggiata e convinta di essere predestinata ad una vita vuota di comprensione ed affetto. Ora, questo tipo di freddo è aumentato in modo considerevole, forse acuito dalla solitudine cronica che caratterizza e caratterizzerà la mia esistenza. Ora, tra me ed il resto dell'umanità c'è un abisso incolmabile. Sto in un luogo desolato, dove c'è un vento gelido che non smette mai di soffiare, e di lontano non scorgo alcuna forma vivente, soltanto ghiaccio e nebbia che s'infittisce sempre di più, coprendo completamente l'orizzonte.




Il freddo in 20 brani letterari


I.

E Johnny entrò nel ghiaccio e nella tenebra, nella mainstream del vento. L'acciaio delle armi gli ustionava le mani, il vento lo spingeva da dietro con una mano inintermittente, sprezzante e defenestrante, i piedi danzavano perigliosamente sul ghiaccio affilato. Ma egli amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della sua destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà.

(Da "Il partigiano Johnny" di Beppe Fenoglio)
 
 
 

II. ALLEGRIA

Faceva freddo. Il vento
mi tagliava le dita.
Ero senza fiato. Non ero
mai stato più contento.

(Da "Tutte le poesie" di Giorgio Caproni)
 

 
 
III.

Era mattina. Me ne stavo nella postazione piu avanzata sopra il ghiaccio del fiume e guardavo il sole che sorgeva dietro il bosco di roveri sopra le postazioni dei russi. Guardavo il fiume ghiacciato da su dove compariva dopo una curva fin giù dove scompariva in un'altra curva. Guardavo la neve e le peste di una lepre sulla neve: andavano dal nostro caposaldo a quello dei russi. "Se potessi prendere la lepre!", pensavo. Guardavo attorno tutte le cose e dicevo: - Buon Natale! - Era troppo freddo star lì fermo e risalendo il camminamento rientrai nella tana della mia squadra. - Buon Natale! - dissi, - buon Natale!

(Da "Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern)
 
 

 
IV. VENNERO I FREDDI

Vennero i freddi,
con bianchi pennacchi e azzurre spade
spopolarono le contrade.
Il riverbero dei fuochi splendé calmo nei vetri.
La luna era sugli spogli orti invernali.

(Da "Le poesie" di Attilio Bertolucci)
 
 



V.

Il treno viaggiava lentamente. Comparvero a sera villaggi bui, apparentemente deserti, poi scese una notte totale, atrocemente gelida, senza luci in cielo né in terra. Solo i sobbalzi del vagone ci impediva di scivolare in un sonno che il freddo avrebbe reso mortale. Dopo interminabili ore di viaggio, forse verso le tre di notte, ci arrestammo finalmente in una stazioncina sconvolta e oscura.
Il greco delirava (parlava di velieri, coste e mari...): degli altri, quale per paura, quale per pura inerzia, quale nella speranza che il treno ripartisse presto nessuno volle scendere dal vagone.
Io scesi, e mi aggirai nel buio col mio bagaglio ridicolo finché vidi una finestrella illuminata. Era la cabina del telegrafo, gremita di gente: c'era una stufa accesa. Entrai, guardingo come un cane randagio, pronto a sparire al primo gesto di minaccia, ma nessuno badò a me.
Mi buttai sul pavimento e mi addormentai all'istante, come si impara a fare in Lager.

(Da "La tregua" di Primo Levi)
 


 
VI. NOTTE BOLSCEVICA

Noi eravamo soli nella stanza
d'ingresso d'una casa abbandonata,
un poco antica. Spenta era la stufa.
Deserta la contrada e segregata.

Un po' di brace, triste, balenava
in quella stanza torbida e glaciale.
La sera, col crepuscolo confusa,
traspariva, dai vetri, sepolcrale.

Notte da lupi, lunga, tenebrosa.
Colmo di neve tutto il vasto piano.
E noi, in casa, soli con le icone,
sgomenti pel nemico non lontano.

M'era concesso d'esser testimonio
di tempi abominevoli e spietati;
ed era tanto gelido il mio cuore,
quanto quei vetri lugubri agghiacciati.

(Ivan Alekséevic Bunin in "Orfeo. Il tesoro della lirica universale")

 


VII.

La giornata era fredda, ma luminosa, il paesaggio nitido: gli alberi, i campi, le rocce davano l’impressione di una gelida fragilità, come se un colpo di vento o un urto potesse frantumarli in un suono di vetro. E come vetro l’aria vibrava del motore della seicento; e grandi uccelli neri volavano come dentro un labirinto di vetro, improvvisamente virando o strapiombando o verticalmente avvitando in su il volo come tra invisibili pareti.

(Da "Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia)
 


 
VIII. I VIALI IRRIGIDITI

I viali irrigiditi
nell'argento delle brine,
s'allungavan senza fine
come zuccheri canditi.

Giù dai rami scheletriti
era un vol di farfalline,
eran petali e perline
bianche, fiori seleniti.

Come dolce era l'andare
sotto il bianco incantamento
presso presso, e stretti al braccio...

Le parole usate e care
s'involavan pure al vento,
... ma non erano di ghiaccio.

(Da "Buchi nella sabbia e pagine invisibili" di Ernesto Ragazzoni)
  



IX.

E l'inverno si fece così freddo, così freddo!... L'anitroccolo doveva nuotare e nuotare senza posa per isfuggire al gelo. Ma ogni notte il buco dove nuotava si faceva più piccino, sempre più piccino. Era così freddo, che la superficie del ghiaccio scricchiolava. L'anitroccolo doveva agitare continuamente le gambe, per impedire che il buco finisse di chiudersi. Finalmente, si sentì esausto, si abbandonò lì, senza muoversi più, e così rimase, quasi gelato, sul ghiaccio.

(Da "Il brutto anitroccolo" di Hans Christian Andersen)
 
 


X. MATTINO

Gela sul palo l'orina del cane
trascinato da un vecchio stizzoso,
chiuso nel suo tabarro,
che lo sgrida con nuvole di nebbia,
«andiamo, dài, mi fai crepare».

(Da "Il cavallo saggio" di Gianni Rodari)
 
 


XI.

Fu un inverno freddo. I vetri, la mattina, erano coperti da uno strato di gelo e la luce che filtrava attraverso essi, biancastra come quella dei vetri smerigliati, si manteneva talvolta uguale per tutta la giornata. Alle quattro del pomeriggio bisognava già accendere il lume.
Nelle belle giornate, Emma scendeva in giardino. La brina aveva posato sui cavoli merletti d'argento con lunghi fili chiari che andavano da un cespo all'altro. Gli uccelli tacevano, tutto sembrava addormentato, la spalliera coperta di paglia, e la vigna, simile a un grande serpente malato sotto la sporgenza del muro, dove, avvicinandosi, era possibile scorgere i centopiedi trascinarsi sulle innumerevoli gambe.

(Da "Madame Bovary" di Gustave Flaubert)
 


 
XII. IL FREDDO

Una città nell'aria periferica
non brilla, si levi o discenda
il nuovo ferro, una ruggine vi s'appiglia,
antico sempre. Di fuori l'autunno,
se ne godono i muri che s'allungano
all'infinito, cada su dicembre
la prospettiva e il freddo duri, quello
vero, laggiù da Abele a Zaccaria...
e la fortuna per fuggir d'aprile?
averlo un tetto che lo schiuda il cuore
dalla neve di Dio, penetrato
dolcemente - non è certo vendetta
la vecchiaia, la più lenta giustizia
che ti raffredda mentre sei a letto.

(Da "Poesie" di Michele Pierri)
 
 


XIII.

E così la bambina camminava coi piccoli piedi nudi, fatti rossi e turchini dal freddo: aveva nel vecchio grembiale una quantità di fiammiferi, e ne teneva in mano un pacchetto. In tutta la giornata, non era riuscita a venderne uno; nessuno le aveva dato un soldo; aveva tanta fame, tanto freddo, e un visetto patito e sgomento, povera creaturina... I fiocchi di neve le cadevano sui lunghi capelli biondi, sparsi in bei riccioli sul collo; ma essa non pensava davvero ai riccioli! Tutte le finestre scintillavano di lumi; per le strade si spandeva un buon odorino d'arrosto; era la vigilia del capo d'anno: a questo pensava.

(Da "La piccina dei fiammiferi" di Hans Christian Andersen)
 
 


XIV. AVVENIRE

La luna si fa più distinta,
la neve cessò di cadere:
in gelida morsa serrati
dovremo noi sempre restare?
s'approssima nuova tempesta:
guardate: nel pallido cielo
un fulgido lampo è passato!

(Takeshi Yanagisawa in "Orfeo. Il tesoro della lirica universale")
 
 


XV.

Egli fece con la spalla un gesto di dispettoso consentimento; l'aiutò a rimettersi la pelliccia e il cappellino; poi egli pure si mise il cappello, prese il bastone e le chiavi di casa, spense i lumi, e uscirono. La scala era buia. Paolo provò la sensazione, per la prima volta in quella casa, di uscire da un albergo, di nascosto del padrone, con una donna raccattata per via.
Aprì la porta di strada, e si trovarono all'aria aperta. Era un freddo acuto: in alto, nel cielo vasto e profondo, le stelle scintillavano, pure e innumerabili. Egli offrì il braccio a Leona, che vi si appoggiò mollemente. Una campana lontana chiamava i fedeli alla messa di mezzanotte.

(Da "L'innamorata" di Evelina Cattermole)
 
 

 
XVI. C'ERA AI VETRI DI FREDDO DEL NATALE

 C'era ai vetri di freddo del Natale
tra i graffi dei bambini anche il tuo nome.
Io bevevo il caffè, dicevo come
potrò vederla, càpita che il male
paziente all'improvviso m'allontani
nell'ansia dell'averti ove non sei.

Ma sei dovunque l'ora dei cortei
che passano, la festa del domani.

(Da "Poesie d'amore" di Alfonso Gatto)
 
 


XVII.

Voi festeggiate l'inverno... Ma ci son dei ragazzi che non hanno né panni, né scarpe, né fuoco. Ce ne son migliaia i quali scendono ai villaggi, con un lungo cammino, portando nelle mani sanguinanti dai geloni un pezzo di legno per riscaldare la scuola. Ci sono centinaia di scuole quasi sepolte fra la neve, nude e tetre come spelonche, dove i ragazzi soffocano dal fumo o battono i denti dal freddo, guardando con terrore i fiocchi bianchi che scendono senza fine, che s'ammucchiano senza posa sulle loro capanne lontane, minacciate dalle valanghe. Voi festeggiate l'inverno, ragazzi. Pensate alle migliaia di creature a cui l'inverno porta la miseria e la morte.

(Da "Cuore" di Edmondo De Amicis)
 
 


XVIII. IL FREDDO

Nel piccolo caffè dell'alta rocca
sto seduto fra i borghigiani
mentre la tramontana
spiffera per le viuzze
e il freddo nell'interno mi rintana.
Da dietro i vetri guardo la pianura
a picco, immensa; le prime faville
s'accendono della città lontana,
ma il mio cuore è un baratro desolato.
Poesia, poesia, siedi al mio tavolo,
stammi vicino, fammi compagnia
come sempre me l'hai fatta,
tu sola e vera moglie della mia vita.

(Da "La luce ricorda" di Giorgio Vigolo)
 
 


XIX.

Una volta - fra tutti i giorni dell'anno, la vigilia di Natale, - il vecchio Scrooge stava lavorando nel suo ufficio. Era una giornata fredda, sinistra, pungente, nebbiosa; ed egli poteva sentire, fuori nel cortile, la gente passeggiare in su e in giù e picchiarsi il petto con le mani e pestare i piedi sulle pietre del lastrico per riscaldarsi. Gli orologi della città avevano appena battuto le tre, ma era già completamente buio; del resto, non c'era mai stata luce in tutta la giornata; e nelle finestre degli uffici vicini luccicavano le candele, simili a macchie rossastre sulla densa aria bruna. La nebbia si infiltrava attraverso le fessure e la serratura e fuori era così densa che, per quanto il cortile fosse uno dei più angusti, le case di fronte non erano che puri fantasmi. Vedere quella nuvola scura scendere lentamente in basso ed oscurare tutto quanto, faceva pensare che la Natura vivesse a due passi di lì e stesse fabbricando birra su larga scala.

(Da "Cantico di Natale" di Charles Dickens)
 
 


XX.

Esco, nel freddo di gennaio, e il cuore
caldo d'amore, d'un subito, al nevischio
che mi sferza, grida: ben venga il gelo
a custodirti, mistero amoroso, poi
che non sei concesso a chi già invecchia,
se non come pacata solitudine
del gelo, ed armonia di cose eterne.

(Da "Tutte le poesie" di Carlo Betocchi).







 

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