martedì 22 gennaio 2013

Da "Gente di Dublino" di James Joyce


Da parecchi anni era cassiere di una banca privata in Baggot Street. Ogni mattina vi si recava da Chapelizod col tram. A mezzogiorno andava da Dan Burke per il suo spuntino: una bottiglia di birra tedesca e un vassoietto di biscotti di fecola. Alle quattro era libero. Pranzava in una trattoria di George Street, dove si sentiva al sicuro dalla presenza della gioventù dorata di Dublino, e dove la lista delle vivande denotava una certa genuinità alla buona. Passava le sere al pianoforte della padrona di casa o gironzolando nei sobborghi della città. La passione per la musica di Mozart lo spingeva talvolta all'opera o a un concerto: queste erano le sole intemperanze della sua vita.
Non aveva né compagni né amici, né chiesa né credo. Viveva la sua vita spirituale senza alcuna comunione con gli altri, limitandosi a far visita ai parenti a Natale e ad acompagnarli al cimitero quando morivano. Compiva questi due doveri sociali per un inveterato senso di dignità, ma era tutto ciò che concedeva alle convenzioni che regolano la vita civica. Si permetteva di pensare che in determinate circostanze avrebbe anche osato sottrarre soldi alla sua banca, ma, dato che queste condizioni non si presentavano mai, la sua vita trascorreva uniformemente, una storia senza avventure.

(Da "Gente di Dublino" di James Joyce, BIT, Milano 1995, p. 99)



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