giovedì 10 gennaio 2013

Il Carnevale in dieci poesie italiane

Il Carnevale è una festa dai connotati prettamente profani che si festeggia nei paesi cattolici. Inizia il 17 di gennaio e termina il martedì (detto grasso) che precede il Mercoledì delle Ceneri ossia l'inizio della Quaresima; quest'ultimo varia di anno in anno a seconda del ciclo lunare. La caratteristica principale che contraddistingue la festa del Carnevale consiste nel mascheramento e nel divertimento sfrenato, a volte folle. I poeti italiani hanno spesso parlato nei loro versi del Carnevale, come anche delle maschere tradizionali (particolarmente di quelle italiane); quanto alle poesie scelte, questo post è dedicato più precisamente al Carnevale, mentre, per quel che riguarda le maschere, sarà opportuno un discorso a parte.
È un carnevale capitolino stanco, che si trascina per inerzia, quello descritto da Enrico Panzacchi nella poesia Carnevale romano, nella quale sono ricordati nostalgicamente anche gli ormai antichi fasti : «O stanco carneval, le vecchie istorie / rammenti? Uscivi dal pagan Lupercolo / tutti intronando delle tue baldorie / i vichi di Trastevere. [...] Passò stagione, o carnevale stanco; / passò stagione! La consuetudine / pigra or ti spinge; e tu tramuti il fianco / briaco di cantaridi».
Olindo Guerrini quando pubblicò le sue opere poetiche usò spesso degli pseudonimi, particolarmente famoso fu quello di Lorenzo Stecchetti; con questo nome uscì la raccolta Polemica dove è presente una lirica in cui l'autore, durante i festeggiamenti del carnevale, nasconde il suo dolore con la maschera facciale sorridente e fintamente divertita. Eccone una strofa: «Ben ritornato, carneval giocondo; / Eccomi serio: ecco ripiglio, o mondo, / La maschera bugiarda. / Oh, non tradire il mio dolor segreto, / Pallido aspetto mio! Mostrati lieto, / Chè la folla ti guarda».
Doloroso è anche il carnevale della poesia di Guido Mazzoni: Notte di carnevale in cui il poeta invoca la pioggia (scrosciante nell'ultima notte carnevalesca) affinchè spazzi via tutte le maschere festanti sulla via: «Ben su questa ubriaca follia / D'una gente che ha fame e gavazza, / Bene, o pioggia, tu scrosci: e tu spazza / Dalle maschere urlanti la via!». Ma perchè questo acre risentimento, questa rabbia intensa del poeta? Il motivo è spiegato nella seconda quartina della poesia e si collega ai gravi lutti familiari che lo hanno colpito fortemente: «La mia Nella è laggiù, presso il mare; / È mio padre laggiù, nella fossa: / Oh ch'io possa alla Nella, ch'io possa / A mio padre, a mio padre, pensare!».
È un carnevale triste anche quello descritto dal poeta crepuscolare Tito Marrone, autore di molte poesie dedicate alla festa invernale. Attimo così come la poesia menzionata in precedenza, parla degli ultimi sprazzi del carnevale che "agonizza" e "muor di malinconia": «Agonizza il carnevale / per le strade / con gli ultimi strilli dell'ultime maschere. / [...] A poco a poco, mezz'annoiato / lascia cader le sue gale, / che muta in cenci il fango della via. / Muor di malinconia, / mascherina mia».
Un altro poeta crepuscolare: Carlo Chiaves, nella poesia intitolata Carnevale, riferendosi ai festeggiamenti parla di "volti tristi" nascosti dalle maschere e di "umanità a sé bugiarda", il tutto per sottolineare l'aspetto sostanzialmente falso della festa che costringe ad esibire divertimento e felicità: «Tra gli chiamazzi e la follia, se vuoi, / noi pure andremo. Celeremo i tristi / volti sotto la maschera, e, non visti, / potrem sognare di non esser noi. / / Chissà! Con tanta umanità frammisti / a sé bugiarda ed ai pensieri suoi / potrò creder ch'io t'amo, che tu puoi / volermi bene, che tu sola esisti».
Dai toni decisamente differenti è la poesia di Sergio Ortolani: Carnovale, tutta concentrata sul lato giocoso della festa già nelle prime due quartine: «E tricche-tracche e nacchere / e tamburelli da gitana / tutt'a un tratto schioccano una musica pacchiana. / / Pifferi, chitarrini e ciaramelle / guidano il coro in voce di falsetto. / Sopra i vicoli altissimi del ghetto / fra gronda e gronda ammiccano le stelle».
Una filastrocca tra il surreale e il fantastico è Carnevale di Gianni Rodari; qui il protagonista è un cappello senza testa che passeggia tranquillamente per le strade di una città; le persone, vedendolo, reagiscono dicendo queste parole: «- È scappato dalla vetrina! / - Certo, è un cappello ladro! / - Portatelo in guardina!». Ma il copricapo gli risponde per le rime: «- Calma, - disse il cappello, / - oggi ogni scherzo vale. / Molta gente va in giro senza testa / anche quando non è carnevale».
Una semplice e gioiosa scena di una festa provinciale è fotografata da Gian Carlo Conti nella poesia Carnevale in un borgo di pianura: «Una bruna baccante di paese / getta fiori dal carro e saettanti / coriandoli; a lei per un istante / ci unisce una fragile teleferica di carta». Il finale denota un evidente entusiasmo provato dal poeta, sia per l'imminente arrivo della primavera che per la consapevolezza di vivere il periodo più bello della vita: la gioventù: «Il vento reca un lieto presagio, primavera, / ed io lancio l'amore, i miei vent'anni, / a tutta forza contro un alto balcone».
Concludo con due poesie dalle caratteristiche decisamente inquietanti. La prima, di Arnaldo Beccaria, vede la presenza di fantasmi che, in una notte di carnevale, suonano il campanello della casa del poeta per invitarlo ad andare con loro per le strade a festeggiare: «I morti ridono dietro la mia porta. / Hanno suonato il campanello, sanno / che verrò io ad aprire. / Ammiccano, gesticolano fra loro, / si spingono per farsi avanti, e ridono / - il sottoterra li ha semidivorati, / carni e vestiti - ridono, a brandelli, / perché hanno complottato d'invitarmi / ad uscire con loro, tutti in gruppo, / in mezzo al carnevale che per le strade impazza».
L'ultima è in dialetto veneto, l'autore è Fernando Bandini che dà voce ad un bambino vittima di uno spaventoso incubo: durante un giorno di carnevale, in una via il piccolo che è mascherato da Pierrot incontra un tizio travestito da donna grassa che lo ferma e lo invita nella sua casa allettandolo con dei dolci e dei giocattoli: «Ciò, bel toseto, vuto / vegner su a casa mia? / Go confeti e coriandoli, / un trenin co la susta / che fa tuu tuu, na bela scuria e un burlo...». Il bambino lo segue ma una volta entrato nell'edificio scopre di avere a che fare con un mostro e esclama: «Mama, che 'l ga 'l cortelo! / Mama, che 'l perde bava / da la dentiera come un can buldò!».  


 
 
IL CARNEVALE IN DIECI POESIE ITALIANE


"Carnevale romano" di Enrico Panzacchi, in "Poesie", Zanichelli, Bologna 1908.
"Ben ritornato, carneval giocondo" di Olindo Guerrini, in "Le Rime di Lorenzo Stecchetti", Bologna, Zanichelli 1903.
"Notte di carnevale" di Guido Mazzoni, in "Poesie", Zanichelli, Bologna 1913.
"Attimo" di Tito Marrone, in "Antologia poetica", Guida, Napoli 1974.
"Carnevale" di Carlo Chiaves, in "Tutte le poesie", Istituto di Propaganda Libraria, Milano 1971.
"Carnovale" di Sergio Ortolani, in "Poesie", Mondadori, Milano 1957.
"Carnevale" di Gianni Rodari, in "Filastrocche in cielo e in terra", Einaudi, Torino 1960.
"Carnevale in un borgo di pianura" di Gian Carlo Conti, in "Non si ricordano più. Le poesie", Guanda, Parma 1991.
"Carnevale" di Arnaldo Beccaria, in "Sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966.
"Carnevale" di Fernando Bandini, in "Santi di Dicembre", Garzanti, Milano 1994.

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