sabato 10 agosto 2013

Il disfacimento nella poesia italiana decadente e simbolista

Si può ben dire che il decadentismo si fondi sull'idea di un graduale e inesorabile disfacimento della civiltà; Paul Verlaine mise in versi questo concetto in una poesia intitolata Langueur (pubblicata su una rivista letteraria nel 1883):

Io sono l'Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti in aureo stile
in cui danza il languore del sole.
L'anima solitaria soffre di un denso tedio.
Laggiù, si dice, lunghe battaglie cruente.
Oh, non potervi, così debole nei miei lenti desideri,
oh, non volervi fiorire un po' quest'esistenza!
Oh, non volervi, non potervi un po' morire!
Ah, tutto è bevuto! Batillo, hai finito di ridere?
Ah, tutto bevuto, tutto mangiato! Più nulla da dire!
Solo, una poesia un po' sciocca da gettare nel fuoco,
solo, uno schiavo un po' frivolo che vi trascura, solo,
una noia di chissà cosa che vi affligge!

Il poeta si identifica con l'impero romano nel momento della sua fine, che avviene in modo lento, stancamente; tutto ciò riflette il modo di pensare diffuso in quel determinato periodo (all'incirca l'ultimo quarto di secolo dell'Ottocento). C'era, allora, l'impressione che tutta una civiltà fosse o stesse per giungere al suo capolinea; da questa idea, i cosiddetti decadentisti posero le basi della loro attività letteraria, tutta pregna di un senso di disfacimento descritto e assaporato con sorprendente compiacimento. Tale situazione nasceva dal convincimento che, così come avvenne alla fine dell'impero romano, quando una civiltà è sul punto di scomparire si esprime al suo massimo in eleganza e in raffinatezza. Ecco allora spiegata la presenza di numerosissimi paesaggi, personaggi, luoghi e situazioni i quali, sia in versi che in prosa, vogliono rappresentare quel famoso disfacimento. In Italia tale tendenza si sviluppò con qualche decennio di ritardo, e fu esaltata soprattutto dai poeti crepuscolari.



Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "La siesta", "Il liuto vano", "L'ultima ghirlanda", "Disperata" e "L'ultimo dono" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Vittoria Aganoor: "Inverno" in "Poesie complete" (1912).
Diego Angeli: "Minacce" e "Lamento di una sera di decembre" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Carlo Basilici: "Il Convito" in «La Vita Letteraria», gennaio 1905.
Umberto Bottone: "La povera gioia" in "Corde ai fianchi" (1910).
Giovanni Camerana: "È tardi, è tardi: l'ombra è intensa..." in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "Il gesto" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Giovanni Cena: "A mia sorella" in "In umbra" (1899).
Carlo Chiaves: "Invernale" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).
Guelfo Civinini: "Motivo stanco" in "L'urna" (1900).
Sergio Corazzini: "Chiesa abbandonata" in "Dolcezze" (1904).
Sergio Corazzini: "Rime dell'inverno" in «Marforio», novembre 1904.
Corrado Corradino: "Hora mala" in "Su pe 'l calvario" (1889).
Adolfo De Bosis: "Ala caduca" in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).
Federico De Maria: "La caduta del campanile" in "Voci" (1903).
Luigi Donati. "La fine" in "Poesia di passione" (1928).
Giuliano Donati Pétteni: "L'Estate defunta" in "Intimità" (1926).
Vincenzo Fago: "Addio!" in "Discordanze" (1905).
Diego Garoglio: "La veglia" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Verso le morte cose" e "Il funerale" in «Nuova Antologia», luglio 1906.
Corrado Govoni: "Rassegnazione angosciosa" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni "Aegri somnia" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "Nirvana" in "Medusa" (1890).
Achille Leto: "Naufragio" in "Piccole ali" (1914).
Giuseppe Lipparini: "Paolina" e "Il frutteto" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "La Ballata delle Dame della Foglia" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Remo Mannoni: "Sonetto simbolico" in «La Stella e L'Aurora Italiana», aprile 1905.
Tito Marrone: "Desolazione" in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone: "Speranza" in «Rolando», ottobre 1907.
Fausto Maria Martini: "Meditazione" in "Le piccole morte" (1906).
Pietro Mastri: "Addio" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Guido Milelli: "Canzonetta disadorna" in "Settimana Artistica Letteraria", febbraio 1908.
Mario Morasso: "Del giorno estremo della terra" in "Sinfonie luminose" (1893).
Nicola Moscardelli: "In nero" in "Abbeveratoio" (1915).
Pier Ludovico Occhini: "Sans trite" in "Biscuits de Sèvres" (1897).
Luigi Orsini: "Ultima estate" e "Una fine" da "Canti delle stagioni" (1905).
Aldo Palazzeschi: "Vittoria" in "Poemi" (1909).
Francesco Pastonchi: "Canzone antica e nuova" in "Il pilota dorme" (1913).
Yosto Randaccio: "Crepuscolo di cielo e d'anima" in "Poemetti della convalescenza" (1909).
Guido Ruberti: "Vesperi latini" in "Le fiaccole" (1905).
Emanuele Sella: "Fuor della vita" in "Monteluce" (1909).
Giovanni Tecchio: "Moriente octobre" in "Mysterium" (1894).
Diego Valeri: "Pagina di diario" e "Lied" in "Umana" (1916).
Remigio Zena: "La pace" in "Olympia" (1905).



Testi

VERSO LE MORTE COSE
di Cosimo Giorgieri Contri

Vidi l'ultime rose
fiorir l'ultimo clivo;
lento, assorto, io salivo
verso le morte cose.

L'odore, a quando a quando,
m'inviava un addio:
indugiava il mio
cuore, rammemorando.

Pure, io pensavo: Affretta;
ogni olezzo è fugace,
è nell'alto la pace:
ascendi: ella ti aspetta!

Io salivo, io salivo
verso le morte cose:
e più rade le rose
si facean sul declivo.

L'anima si chetava
in silenzio. Ogni vano
sogno era già lontano:
ogni desìo passava

sul mio capo, con volo
d'uccel che migra al norte:
verso le cose morte
io salivo: ero solo.

(Da «Nuova Antologia», 1° luglio 1906)

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