Oggi, 4 ottobre,
si festeggia San Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia; uno dei santi più cari
non solo ai connazionali. Per ricordare questo personaggio unico nella storia
dell'umanità, ho voluto riproporre sia un frammento in prosa che alcuni versi in
cui si parla di un episodio molto significativo della vita del poverello
d'Assisi. Il brano in prosa è tratto dai "Fioretti di S. Francesco", mentre la
poesia è di Enrico Panzacchi, poeta dell'Ottocento che rimase colpito, come
molti altri lirici, d'altronde, dalla figura e dall'opera di Francesco.
Come andando
per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono
perfetta letizia.
Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria
degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e ’l freddo grandissimo
fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse
così: «Frate Lione, avvegnadioché li frati Minori in ogni terra dieno grande
esempio di santità e di buona edificazione nientedimeno scrivi e nota
diligentemente che non è quivi perfetta letizia». E andando più oltre santo
Francesco, il chiamò la seconda volta: «O frate Lione, benché il frate Minore
allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l’udir
alli sordi e l’andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch’è maggior cosa,
risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia». E
andando un poco, santo Francesco grida forte: «O frate Lione, se ’l frate Minore
sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse
profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle
coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia». Andando un
poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: «O frate Lione, pecorella
di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d’Agnolo, e sappia i corsi delle
istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra,
e conoscesse le virtù degli uccelli e de’ pesci e di tutti gli animali e delle
pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando
ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: «O frate Lione, benché ’l frate
Minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl’infedeli alla fede di
Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia».
E durando questo modo di
parlare bene di due miglia, frate Lione, con grande ammirazione il domandò e
disse: «Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta
letizia». E santo Francesco sì gli rispuose: «Quando noi saremo a santa Maria
degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati
di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e ’l portinaio
verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de’ vostri
frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch’andate
ingannando il mondo e rubando le limosine de’ poveri; andate via; e non ci
aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all’acqua, col freddo e colla fame
infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti
commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e
penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa
parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se
anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi
importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci,
ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né
albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con
buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur
costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e
pregheremo per l’amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure
dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li
pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e
piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e
batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo
pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali
dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è
perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie
e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di
vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie
e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci
possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l’Apostolo:
Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l’hai avuto da lui perché te ne
glorii come se tu l’avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e
dell’afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l’Apostolo: Io non mi
voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo».
A
laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
(Da "I
fioretti di S. Francesco")
PERFECTUM GAUDIUM
Francesco andava un dì verso
Perugia,
al suo compagno cosi favellando :
« Frate Leone, pecora di Dio,
odimi attento. Se il frate minore
tutti comprenda i moti delle stelle,
e scuopra tutte le virtù segrete
delle pietre, degli alberi e
dell'acque,
ed anco s' egli interpreti il linguaggio
degl' animali che
per terra vanno
e degli uccelli che per aria volano,
sappi che in questo
non è gioia piena ».
E dopo un tratto di cammin riprese :
« Frate Leone,
pecora di Dio,
odimi attento. Se il frate minore
intenda e parli tutti
gl' idiomi
che le diverse genti ebbero in terra,
e s' egli acquisti
quanta è sapienza
nei sacri libri e tesaurizzi quanto
scrissero i Padri
e legga manifesti
i pensieri degli Angeli e dei Santi,
sappi che in
questo non è gioia piena ».
E dopo un tratto di cammin riprese :
« Frate
Leone, pecora di Dio,
odimi attento. Se il frate minore
abbia potenza di
guarir la lebbra
e faccia dritto camminar gli storpi
e ridoni la luce
agli occhi spenti,
se spezzi, predicando, il cuor di tutti
i peccatori e
tutti gl' infedeli
docili renda nella fé di Cristo,
sappi che in questo
non è gioia piena ».
E dopo un tratto di cammin riprese :
« Ascolta,
ascolta, pecora di Dio,
frate Leone. Quando sarem giunti
dentro a
Perugia, se una turba ostile
ne verrà intorno e, come a due gaglioffi,
ne schernirà, ne strapperà i cappucci,
ne brutterà le tonache di fango,
poi, passando alle pietre ed ai randelli,
ne lascerà per terra mezzo
morti,
sappi che solo in questo è gioia piena ».
Cosi parlando il Santo
si fermò
a mezzo l' erta. Il sole alla sua faccia
dalle cime del Catria
raggiava;
e non s' udia lo scroscio del torrente,
e tacevan le rondini
nel bosco.
Sentì frate Leone in quel silenzio
una domanda. Gli occhi
mansueti
alzò in viso al Maestro, e disse : « Andiamo ! »
Ozzano Emilia, agosto
1896
(Da "Poesie" di Enrico Panzacchi, Zanichelli,
Bologna 1909)
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