lunedì 23 dicembre 2013

Da "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Nelle strade vi era già un po' di movimento: qualche carro con cumuli d'immondizia alti quattro volte l'asinello grigio che li trascinava. Un lungo barroccio scoperto portava accatastati i buoi uccisi poco prima al macello, già fatti a quarti e che esibivano i loro meccanismi più intimi con l'impudicizia della morte. A intervalli una qualche goccia rossa e densa cadeva sul selciato.
Da una viuzza traversa intravide la parte orientale del cielo, al di sopra del mare. Venere stava lì, avvolta nel suo turbante di vapori autunnali. Essa era sempre fedele, aspettava sempre Don Fabrizio alle sue uscite mattutine, a Donnafugata prima della caccia, adesso dopo il ballo.
Quando si sarebbe decisa a dargli un appuntamento meno effimero; lontano dai torsoli e dal sangue nella propria regione di perenne certezza?

(Da "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Feltrinelli, Milano 2005)

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