lunedì 24 febbraio 2014

La domenica nella poesia italiana simbolista e decadente

La domenica è sempre stato il dì del riposo che arriva dopo una settimana di lavoro, è quindi il giorno adatto a svagarsi, a divertirsi se possibile e a dimenticare tutti i problemi e gli affanni, sia dei giorni precedenti che di quelli seguenti. Ma la domenica dei poeti simbolisti (in questo caso anche e soprattutto crepuscolari) diviene un giorno estremamente noioso, spesso piovoso e in ogni caso portatore di tristi pensieri. La vita, proprio quando dovrebbe esprimersi con entusiasmo ed energia, si rivela quindi inutile e insensata. I poeti che parlano delle loro domeniche in sostanza parlano dell'esistenza senza significato, poiché gli altri giorni della settimana sono dedicati al lavoro (spessissimo fonte di fatica e di tribolazione) e l'unico giorno libero si rivela completamente privo di ogni spinta vitale. Diviene in questo modo il simbolo della inutilità dell'esistenza, la rappresentazione del vuoto e della noia.




Poesie sull'argomento

Sandro Baganzani: "La mia triste vita" in "Arie paesane" (1920).
Sergio Corazzini: "Sera della domenica" in "Libro per la sera della domenica" (1906).
Lionello Fiumi: "Sera di domenica in carnevale" in "Polline" (1914).
Corrado Govoni: "La domenica è intenta nel comporsi", "La domenica nel convento" e "Lo specchio della domenica" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni: "Le domeniche", "Le cose che fanno la domenica" e "Domenica" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Domenica" in "Poesie elettriche" (1911).
Fausto Maria Martini, "Domenica d'ospedale" in «Nuova Antologia», novembre-dicembre 1917.
Tito Marrone: "Domenica d'inverno" in «Rivista di Roma», dicembre 1904.
Marino Moretti: l'intera sezione "Le domeniche" in "Poesie scritte col lapis" (1910).
Guido Ruberti: "Domenica" in "Le Evocazioni" (1909).




Testi

LA DOMENICA
di Marino Moretti

Chinar la testa che vale?
e che val nova fermezza?
Io sento in me la stanchezza
del giorno domenicale;

del giorno in cui non si ha nulla
fuorché il triste cuore sperso,
e in cima alla mente un verso
troppo noto che ci culla;

del giorno in cui, spento ogni
rumore, la casa è vuota,
in cui la pupilla immota
non intravede più sogni.

Chinar la testa che vale ?
Vive meglio col suo niente
il buon uomo che si sente
di non poter fare il male,

e non sente l'infinita
ampiezza dell'irreale,
e vive senza ideale
come un servo della vita!

La suora che nel convento
perdoni e salvezze implora
pensa alla vita d'allora
con improvviso sgomento;

la madre che ha lungi il figlio
e che non sa dove sia,
lo vede già su la via
del male, senza giaciglio;

l'amante, pieno di ardore,
che attese presso una chiesa
si logorò nell'attesa
tutto il suo giovane cuore;

ma quegli a cui fu concesso
di scendere nel cortile,
sente che l'autunno è aprile,
si consola da sé stesso;

il malato a cui è tanto
caro l'umile fil d'erba
ed a cui l'autunno serba
un primaverile incanto,

una dolcezza novella
fatta di gialle corolle,
una soavità molle,
un'indistinta favella...

Chinar la testa che vale?
e che val nova fermezza?
Io sento in me la tristezza
del giorno domenicale,

che declina in un vapore
grigio nella lontananza
senza che alcuna speranza
doni al mio povero cuore.

(Da "Poesie 1905-1914")





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