mercoledì 9 aprile 2014

La donna nella poesia italiana simbolista e decadente

La descrizione di figure femminili è uno degli elementi più presenti nella poesia simbolista italiana. Dai versi di Gabriele D'Annunzio a quelli dei poeti crepuscolari e oltre, si susseguono tutta una serie di donne spesso misteriose, a volte sofferenti e non di rado affascinanti, le quali rappresentano più di un simbolo, più di un concetto. Si potrebbero menzionare, tra le idee che scaturiscono dalla lettura di codesti versi, quelle di mistero, di vita e nello stesso tempo di morte, di amore, di bellezza, di dolore, di tristezza, di eternità, di lussuria, di ascetismo, di maternità, di potere, di crudeltà, di forza ecc. Rarissime volte i poeti simbolisti italiani parlano delle donne in senso negativo; quando accade però, spesso la figura femminile è raccontata in modo orrendo: con dettagli che fanno pensare ad una profonda misoginia; esse, in questi precisi versi, divengono la rappresentazione del male assoluto.


Poesie sull'argomento 

Mario Adobati: "La gitana" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "La vedova" in "La città di Vita" (1896).
Diego Angeli: "La donna dell'orto" e "Rosalba" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Libero Altomare: "Per una pallida" in "Procellarie" (1910).
Paolo Buzzi: "La donna dalla corazza d'acciaio" in "I Poeti futuristi" (1912).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Le Madri" e "Elodiana" in "Le consolatrici" (1905).
Edmondo Corradi: " Le amanti" in «Domenica Letteraria», novembre 1897.
Italo Dalmatico: "La immagine di lei che mi sorprese" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "L'alunna" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Gabriele D'Annunzio: "Climene" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona: "Ballata delle fanciulle povere" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Giuliano Donati Pétteni: "La Donna dei Sogni" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi: "L'afflitta", "L'uccisa" e "Dianora" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "La Pensosa" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Corrado Govoni "Sorella", "Le spose della morte" e "La straniera" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "La preraffaellita" in «Il venerdì della contessa», 1903.
Guido Gozzano: "Le non godute" in «La Riviera Ligure», aprile 1911.
Gian Pietro Lucini: "Le Dame" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Nicola Marchese: "Tarda dea" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Serena" in "Cesellature" (1899).
Mario Morasso: "L'eterna donna" in "Sinfonie luminose" (1893).
Angiolo Orvieto: "La donna delle paludi" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Aldo Palazzeschi: "Comare Coletta" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "La matrigna" in "Poemi" (1909).
Giuseppe Piazza: "Le benevole" e "Le insonni" in "Le eumenidi" (1903).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Le rassegnate" e "Nel viale" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Federigo Tozzi: "L'imperatrice" in "La zampogna verde" (1911).
Domenico Tumiati: "La dama sola" e "La Dama del Veltro" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "La donna del parco" in "La rinunzia" (1907).



Testi

LA DONNA DEL PARCO
di Carlo Vallini

I.

Tu solitaria ch’entro me t’effigi
quando nel sogno l’anima sconfina,
cupa celando un’ombra sibillina
nella profondità delli occhi grigi,

tu che nel muto parco prediligi
la serena tristezza vespertina
se tra i cipressi il raggio che declina
folgori sopra gli ultimi fastigi,

anima amante ed anima sorella,
abisso ignoto ove l’Amore cinge
brividendo la Morte che l’invita,

non tu rendi l’imagine di quella
che presiede nell’atto d’una sfinge
alle fonti del Sogno e della Vita?


II.

Sola nel parco, a vespero, una fresca
fontana rompe in getti di coralli
e n’emergono i fauni ed i cavalli
snelli, in atti di grazia pittoresca.

Ma sembra che piú languida s’accresca
la tristezza del parco oltre i cristalli
iridescenti, a toni rossi e gialli
della tua vasta casa secentesca.

Vuota è la casa: oscuri i secolari
quadri, come i pensieri che raccoglie
immobilmente la tua fronte china,

mentre guardi con occhi solitari
come nel parco muoiano le foglie
e crolli nel tuo cuore una rovina.


III.

Non piú la fuga delle stanze vuote
gravi di tante e tante cose morte
turbi il rombo feral del pianoforte
che i silenzi dei secoli riscote.

Il sogno è sacro: e qui si ripercote
tra la mollezza delle stoffe smorte
forse troppo improvviso e troppo forte
questo sonoro turbine di note.

Voglio un motivo lento, ove predòmini
la nota alta del pianto, ma con una
potenza che mi vincoli e m’assorba;

come quando, di notte, lungi agli uomini,
un infelice va, sotto la luna,
addolcendo le note alla tiorba.


IV.

E tu, simile all’erma che corrose
il tempo, senza fine ti prepari
a riveder tra i bussi secolari
avvicendarsi i colchici e le rose.

Infinito ritorno delle cose
nel tempo! Solo, in fondo alli occhi chiari
tuoi, come in grembo a laghi solitari,
il tuo mistico sogno si compose.

Ben ti conobbi allora ch’io bambino
di tutto ignaro, presentivo il lento
svolgersi della favola infinita,

quando, fiorendo a maggio il mio giardino
triste, con indicibile sgomento
m’atterrivo a quell’impeto di vita!


(Da "La rinunzia", 1907)

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