domenica 29 giugno 2014

L'erba nella poesia italiana decadente e simbolista

A rigor di logica, la simbologia dell'erba e del prato dovrebbe riferirsi principalmente al colore di cui si compone: il verde; quindi dovrebbe avere a che fare con la gioventù e la speranza. In verità, per i poeti simbolisti ciò non vale: si nota infatti, leggendo gli sporadici versi che vedono al centro dell'attenzione erbe e prati, una sorta d'immersione nella natura che sfiora il panismo. In casi più rari l'erba assume il significato di "anima", in altri quello di "nutrimento". È infine presente un concetto di "dolore", già caro a Giacomo Leopardi, come si evince dalla lettura di questo frammento tratto dallo "Zibaldone":

Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagion dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in stato di souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e bruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o nelle radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è róso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido troppo secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro.


TESTI SULL'ARGOMENTO



«È NEL MIO SOGNO...» 
di Vittoria Aganoor (1855-1910)

È nel mio sogno un prato tutto verde 
     solitario, tra due 
spalle di monte, e l'erba trema al soffio 
     dell'ombra.

Di là, nel sole, cantano, 
ma il canto va lontano e poi si perde. 
     Più solitario resta 
     e più silenzïoso, 
nel mio sogno, quel prato tutto verde.

(Da "Leggenda eterna", Roux e Viarengo, Torino-Roma 1903)





AD UN ALVEO
di Antonino Anile (1869-1943)

Alveo deserto, che sentisti lieti
i palpiti del fiume e delle vive
linfe il fragore, nudo ora a' quieti
meriggi appari delle ardure estive;

ma l'erbe, che fioriron pei tuoi greti,
son volte ancor verso lontane rive,
come se ancor sentissero segreti
avvolgimenti d'acque fuggitive.

Si piegarono l'erbe alla fiumana
irrompente così che son rimaste
volte al mar, lungo l'alveo inaridito.

Qual soffio, quale irrompere di vaste
onde travolse un dì l'anima umana
che s'è rivolta verso l'infinito ?

(Da "Sonetti dell'anima", Ricciardi, Napoli 1907)





L'ERBA
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

Erba che il piede preme, o creatura
umile de la terra, tu che nasci
ovunque, in fili tenui ed in fasci,
e da la gleba e da la fenditura,

e sempre viva attendi la futura
primavera nei geli orridi, e pasci
l'armento innumerevole, e rinasci,
pur sempre viva dopo mietitura,

erba immortale, o tu che il piede preme,
io so d'un uomo che gittò nel mondo
un seme come il tuo dolce e tenace;

e nulla può distruggere quel seme...
– Pensa l'Anima un carcere profondo
ove l'erba germoglia umile in pace.

(Da "Poema paradisiaco; Odi navali: 1891-1893", Treves, Milano 1893)





ERBA
di Giulio Gianelli (1879-1914)

Precorritrice dell'arborea vita
nascesti a specchio delle prime fonti,
erba che regni piani colli e monti
e ti compiaci della margherita;

da millenni ripalpiti fiorita
in ogni zona; sfumi agli orizzonti,
se nell'onda t'immergi e poi sormonti
a rivedere il sol, rinvigorita:

abbondi all'uomo come l'acqua e l'aria,
gli nutri il gregge, l'accompagni, santa,
fino alla tomba se ramingo egli erra;

sul tuo verde perenne il cielo svaria
e nello spazio ad altri mondi canta
l'eterna giovinezza della terra.

(Dalla rivista «Riviera Ligure», gennaio 1913)





L'ERBA
di Corrado Govoni (1884-1965)

Ancella solitaria, neve verde,
elemosina verde di malati
lungo le porte chiuse, sui selciati.
Oh la decapitazione verde!

Ama le bianche statue, sulle soglie
arse con le sue mille aperte gole
sospira l'acqua o scherza con il sole,
ed è bara di velluto alle foglie.

Preferisce i cortili umidi e oscuri
e i marciapiedi interni dei conventi,
dove non passa piede che la strazi:

solo rospi seduti contro i muri
si riscaldano al sole, flatulenti
come rognosi mendicanti sazi.

(Da "Gli aborti", Taddei, Ferrara 1907)





SULL'ERBA
di Arturo Graf (1848-1913)

L'erba è una buona cosa 
Per l'insetto e pel branco, 
E ancor per l'uomo stanco, 
Per l'uom che si riposa. 

Mentr'ei siede sull'erba, 
Fuor dell'usata gabbia, 
Ogni rancor ch'egli abbia 
Si smorza e disacerba. 

Mentre supino giace 
Sui flessuosi steli, 
Vede nell'alto i cieli 
E può sognare in pace. 

Si rizza a lui dattorno 
Qualche succinto fiore: 
Vive il fior poche ore; 
Vive l'uom qualche giorno. 

Una minuta plebe 
Ivi presso fatica: 
Come l'uom la formica 
Si struscia per le glebe. 

Adagio un grillo miete; 
Vïaggia nel rigagno 
Una chiocciola; il ragno 
Distende la sua rete. 

Tra' fuscelli si spalla 
Una lumaca inerme; 
Ronza un moscone; il verme 
Disprezza la farfalla. 

E l'uom che si riposa 
Sente d'esser fratello 
Del verme e del fuscello 
E d'ogni nata cosa. 

Mentr'ei giace sull'erba 
Nauseato, sfinito, 
Gli passa ogni prurito 
Ed ogn'idea superba. 

Mentr'ei stassi a giacere, 
Vede fuggir per l'aria 
L'illusïone varia 
Dalle nubi leggiere. 

Mentr'ei giace supino, 
Vede assai lunge il cielo; 
Sente, fra stelo e stelo, 
La terra assai vicino. 

(Da "Le rime della selva", Treves, Milano 1906)





L'ANSIA DELLE ERBE
di Giuseppe Lipparini (1877-1951)

Maggio, nel tuo cominciare, un giorno parlai con i fiori;
semplici fiori di campo, stellanti fra il verde: vermigli
e violetti, cerulei e gialli: corolle dischiuse
dentro la notte di luna nel palpito delle rugiade.

"Come tu porti il tuo cuore purpureo nel fondo del petto,
tale ogni filo di verde ha noi per suo piccolo cuore;
e se tu palpiti all'urto d'amore e ti vince il desio,
noi, piccole arpe, vibriamo al soffio fugace del vento.

"Ogni qual volta si appressa un uomo, tremiam di spavento;
l'ansia profonda risale gemendo dai tuberi e dalle
fitte radici; e vediamo, incontro ai tramonti infocati,
dentro a le mani callose brillare nel filo le falci.

"Onde sarà su la terra un fascio di cuori recisi.
Tu, ne la notte odorosa, ascolta il profumo che sale
dai grandi mucchi di fieno. È l'anima nostra, ch'esala
verso le stelle lontane il vano dolore dell'erbe".

(Da "L'ansia", Puccini & figli, Ancona 1913)





LA RUTA 
di Pietro Mastri (1868-1932)

Il volgo afferma che in te, ruta, sia 
una virtù meravigliosa e tale 
che, dove alligna il tuo cespuglio, vale 
a scongiurar la più nera malìa. 

(E ben io so che chi ti guarda e fiuta 
pensa ad un qualche tuo mistero, o ruta; 

pensa a certe putredini di bosco, 
a rettili disfatti, dal cui tosco 

sien germogliate le tue foglie grame 
e fetide, color di verderame !...) 

Ond' io ti vedo, o ruta, al davanzale 
d'umili case, in qualche oscura via: 
ma la sventura ti fa compagnia, 
e sale e scende per le anguste scale. 

(Da "L'arcobaleno", Zanichelli, Bologna 1900)





MENTRE IL VERDE IN RECLUSA ERBA S'AFFANNA
di Arturo Onofri (1885-1928)

Mentre il verde in reclusa erba s'affanna
per salir su dal prato, e dilatarsi
in archi blu, da ripioverne in manna
d'oro sui propri frutici giù sparsi;
      piomba sul mio silenzio
      l'astro che ha nome Assenzio.

Un lembo del futuro si delinea
dallo squarcio che s'apre all'occhio interno;
e al colpo d'una spada rettilinea,
odo il suolo bollir d'un fuoco eterno,
      nel sangue mio, che vuole
      già ringoiare il sole.

Calmati, o sangue impaziente! Aspetta
che il Nome sia santificato, e il Regno
del Padre venga a far l'alta vendetta
cosmica, onde, per ora, non sei degno
      di ringoiare in te
      il sole del tuo Re.

(Da "Terrestrità del sole", Vallecchi, Firenze 1927)





I PRATI DI GESÙ, V
di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

È una perpetua continua processione
di centomila persone
ogni giorno, che a quel prato
s'aggiran torno torno
per ore e ore.
Centomila persone
che s'intrecciano, s'incontrano,
si guardano, s'inchinano,
senza far romore.
Il più assoluto silenzio
deve regnarvi attorno, giro giro,
si deve potere udire un respiro.
Nel mezzo del prato
c'è un uomo addormentato,
c'è sempre stato.
La gente è sempre stata
nella più grande ammirazione,
giro giro, tondo tondo,
da che mondo è mondo.
Tutti ammirano perplessi
quell'eterno placido sonno,
tutti colla massima devozione,
ogni giorno centomila persone.
L'uomo è là, nel mezzo del prato,
steso in mezzo addormentato,
sempre giovine uguale, sempre biondo,
sempre colla sua veste
bianca di candore.
Dorme colla più gran tranquillità
il più bel sonno del mondo,
forse per l'eternità.
La gente giro giro
sta fissa ad ammirare
l'alzarsi e l'abbassarsi di quel petto,
sta in orecchi per udire
il placido respiro.

(Da "Poemi", Tip. Aladino, Firenze 1909)





SIMILITUDINE
di Mario Venditti (1889-1964)

In mezzo all'erbe sfolte
agonizzano al sole
tutte quelle viole
che non furono colte.

Ed hanno la tristezza
di giorni non vissuti,
di baci non goduti,
di non dette parole
d'amor - quelle viole
che non furono colte
e che, prive di brezza,
morran tra l'erbe sfolte.

(Da "Il terzetto", Parrella, Napoli 1911)

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