martedì 2 settembre 2014

Meriggi

E anche ricordo i pomeriggi estivi di circa quarant'anni fa, quando nei palazzi del mio borgo la gente usava fare la "pennichella", e per tal motivo i bambini erano costretti a rimanere in casa o ad allontanarsi da essa. E allora noi fuggivamo verso strade deserte e assolate, dove si udiva soltanto il rumore che fanno le cicale, e cercavamo un qualunque svago puerile, in luoghi che, certo, non ci offrivano molto. Ma noi avevamo dalla nostra parte una smisurata fantasia, quella che si possiede soltanto nell'età più bella.



MERIGGIO A MARE
di Adolfo Borgognoni (1840-1893)

Muto, senz'onda il mare,
Disteso a l'infinito,
Sembra un acciar brunito
Che ripercuota il sol;

Sopra, d'intorno immoto
È l'aere fiammante;
In fra le rade piante
Non corre un grido, un vol.

Silenziosa ferve
L'ora meridiana;
Il suon d'una campana
Giunge da la città,

Solo. Nel lembo scuro
Che segna la pineta,
Su una capanna cheta
Un fil di fumo sta.

(Da "Rime e versi", 1886)





È UN POMERIGGIO LIVIDO
di Corrado Govoni (1884-1965)

È un pomeriggio livido
di Settembre, rigato
a pena da qualche brivido,
da qualche rumore ovattato.

Ne l'orto un muro un gaggio sopporta
per le sue pietre mucillaginose.
Sghignazzan sui pilastri de la porta
due putti tra un arco di rose.

Un comignolo fuma
una dilegine noia;
la sua rossa schiuma
lava una bassa tettoia.

Una fabbrica fischia
lungamente e poi tace.
Per la quiete nevischia
un arruffio pertinace

di freddolosi uccelli
in un chiuso giardino
senza sedili e senza cancelli.
Apre la bocca un abbaino

in un tetto dai tegoli
di sporco acciaio.
Il cardellino becca i regoli
de la gabbia attaccata al solaio.

Il branco degli uccelli sloggia
da le robinie di smeraldo,
e va per la pioggia
verso un fienile caldo.

La terra avidamente
beve l'acqua da tutti i pori:
sviene l'erba paziente,
s'ubbriacano i fiori.

Ed il vento raccoglie
mesto le sue chiome bionde
scapigliate lungo le soglie,
e le pettina con le monde

mani in un angolo appartato
di qualche recinto,
accanto a un fauno sgretolato
di cui l'edera morde il plinto.

Tutto è uniforme, tutto
è cinereo come
se ogni cosa vestisse il lutto,
fosse ogni cosa senza nome.

E la pioggia continua
a filare la sua lana,
e ne le case s'insinua
una mollezza di lana.

Gli alberi parlano tra loro
de le defunte rose:
il malaticcio decoro
à delle semplicità deliziose.

Un'anatra sguazza crocchiando
in un truogolo intorbidito.
Una cincia saltella cinciando
per il convolvolo fiorito.

(Da "Armonia in grigio et in silenzio", 1903) 





UN RICORDO
di Ada Negri (1870-1944)

Un meriggio di luglio, un'afa bassa:
io consunta di febbre, abbandonate
su le lenzuola le braccia stroncate,
e immobil come salma ne la cassa.

Ne l'orrenda stanchezza un solo, acuto
pensier: la bimba. — La sua voce piana
giungeva a me da una stanza lontana,
come ne i sogni: — tutto il resto, muto.

E il suo piccolo passo udii venire,
dopo, sino al mio letto. — Dolcemente
mi prese, mi baciò la mano ardente....
....ed a quel bacio io mi sentii morire.


*

Precipitava i colpi violenti
il cor malato, sino a soffocarmi.
Le tempie, come tizzi, eran roventi;
le membra, fredde come freddi marmi.

Tentavi con le tue di riscaldare
queste povere mani moribonde.
Io mi sentiva l'anima affondare
in un mar senza scampo e senza sponde.

Dissi, come in un soffio: La bambina. —
E vidi ne' tuoi buoni occhi una forte
promessa. — Al buio, come un'assassina,
stava in agguato, dietro a me. la morte.

(Da "Maternità", 1904)





MERIGGIO IN CAMPAGNA
di Giovanni Alfredo Cesareo (1860-1937)

Alto silenzio sta su la pianura
Divampata dal sol meridiano:
Il zefiro su flosce ali s'addorme
Nell'aria immota: qualche raro arbusto
Aggiacca al suolo i polverosi rami
Con ombra tenue: lustra arido il letto
Del petroso ruscello, e un vaporante
Stupor di sogni dalle cose emana.

Ma una nota giulia
Pía, pía, scivola via;

Onde a me il cuor con una strinta balza
Subitamente. Pur se nulla in vista
Accenna più, non alito, non orma,
Io rido in me di sovrumana gioja,
Però che mai provassi egual dolcezza
Di questa irrevocabile quiete
Che da' vivi mi separa: dilegua
Ogni senso dell'essere in cotale
Religioso, immemore, sereno
Trasognamento della terra affisa
All'indefatigato occhio del giorno,
E con divina voluttà già credo
Ebbro di luce sciogliermi e vanire
Nella concordia estatica del tutto.

(Da "Le consolatrici", 1905)





MERIGGIO ESTIVO
di Diego Garoglio (1866-1933)

Sdraiato, o quercia, all'ombra capricciosa
delle tue foglie nel meridiano
fulgore estivo,
come in un sovrumano
stupore immoto, intensamente io vivo,
arso pur io dall'infinita arsura, 
— quasi assorbito in grembo alla Natura
la vita d'ogni cosa.

Annegan le pupille nel bagliore
biancazzurrino dove impera il sole,
unico Dio;
mi fervono parole
entro di fiamma, d'immortal desìo,
e in ritmo col frinir delle cicale 
— pendolo dell'estate — batte, sale
il palpito del cuore!

(Da "Sovra il bel fiume d'Arno", 1912)





AUTUNNALE
di Lionello Fiumi (1894-1973)

Nel consunto meriggio d'ottobre in pensieri
leggeri
di gloria, m'inoltravo pel deserto viale;
lungo il fosso
era un lento funerale
di platani
incappucciati di giallo di ruggine di rosso,
e un sole scarso
fregiava di chiazze violacee
il terreno, sparso
di foglie sanguigne e coriacee
che sotto il piede
cricchiavano cricchiavano: uggiose!
Pensai, rammento, a un tratto,
i monotoni scaffali
di vecchi libri, e quegli eguali
crepiti di cartapecore e di pagine
maculate
ch'ebbero pure, come le coriacee foglie, il loro maggio,
e ch'oggi sol le dita frigide del saggio
sbendano dal pesante oblio e fanno crepitare.
Pensai: ed i mille miei sogni leggeri di gloria
si sfecero vani
in uno de' miei amari sorrisi leopardiani:
"E l'uom d'eternità s'arroga il vanto!..."

(Da "Polline", 1914)





IL POMERIGGIO
di Umberto Saba (1883-1957)

Negli aspetti di questo pomeriggio
troppo bello, ho sofferto i primi fasti
dell’autunno; la voce ammonitrice
della stagione che i rimorsi arreca,
ed il rimpianto al mal fatto misura.

Il cielo è azzurro come il primo cielo
che Dio inarcava sulla terra nuova,
e il mare, appena benedetto, è un liscio
specchio all’azzurro di tutto quel cielo.
Poche foglie sugli alberi hanno il verde
dei vivaci acquarelli dei fanciulli,
mostrano l’altre un rosso di passione.
Casa e campagna, tutto il mondo, è come
creato or ora; e tanto bello attrista,
tanto che agli occhi è soverchio, e non dura.

Chi dai suoi ozi si riposa, e ascolta,
ode il monito grave, ode la voce
che viene dalle cose e dal profondo;
dalle prime speranze che ha deluse,
da un bel principio che più il fine oscura.

(Da "Il Canzoniere", 1921)





MERIGGIO ESTIVO
di Giuseppe Villaroel (1889-1968)

Bianco meriggio dell'està odorosa
che socchiude le porte sulle vie
quando i carri, in penose teorie,
battono la campagna polverosa.

È l'ora in cui il lamento dei mendichi
risuona nei cortili addormentati.
Dormono gli stallieri scamiciati
sotto i portoni dei palazzi antichi.

L'ora in cui il sole è un'alta luminaria
e dietro le socchiuse persiane
luccican gli occhi delle donne; e strane
canzoni si diffondono nell'aria.

S'aprono dalle strade senza vita
lontananze purissime d'azzurro.
Nei giardini le vasche hanno un sussurro
querulo e la città sembra sfinita

dal sole, sembra che un languore enorme
snervi la terra; e gli uomini, in un blando
torpore d'oppio, sognino adorando
la splendente bellezza delle forme.

(Da "La Bellezza intravista", 1923)





MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO
di Eugenio Montale (1896-1981)

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

(Da "Ossi di seppia", 1925)





UN DOLCE POMERIGGIO D'INVERNO
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Un dolce pomeriggio d'inverno, dolce
perché la luna non era più che una cosa
immutabile, non alba né tramonto,
i miei pensieri svanirono come molte
farfalle, nei giardini pieni di rose
che vivono di là, fuori del mondo.

Come povere farfalle, come quelle 
semplici di primavera che sugli orti
volano innumerevoli gialle e bianche,
ecco se ne andavan via leggiere e belle,
ecco inseguivano i miei occhi assorti,
sempre più in alto volavano mai stanche.

Tutte le forme diventavan farfalle
intanto, non c'era piu una cosa ferma
intorno a me, una tremolante luce
d'un altro mondo invadeva quella valle
dove io fuggivo, e con la sua voce eterna
cantava l'angelo che a Te mi conduce.

(Da "Altre poesie", 1939)





IL TARLO
di Franco Fortini (1917-1994)

Stanza di pomeriggio
polvere di fatica
rombo di Milano
nella conca del cortile
palato asciutto
delle fontane

tende del pomeriggio
polvere d'altre sere
gracili al sole
cartilagini degli anni

dietro il capo
le braccia in croce
mia mente informe ripòsati.

*

Poesia vecchio pianto nel sonno
a notte alta mi sveglierai.

*

Ma allora sarà più vicina
l'impercettibile voce
che il giorno non conosce.

Verso il cuore del legno morto
da anni un tarlo lavora.

Voce minima promessa
invisibile verità
scricchiolìo dell'alto tempo
quanta calma sugli occhi lavati.

Confidenza della fine
per udirti quanto silenzio.

(Da "Poesia e errore", 1959)

2 commenti:

  1. Caro Leonardo, quei pomeriggi assolati di tanti anni fa, da te vissuti, erano anche i miei....quanti ricordi. E poi queste poesie per me sono cariche di nostalgia. Un saluto

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    1. Ciao Remigio, fa sempre piacere sapere che altri abbiano provato le nostre stesse emozioni. Un saluto a te.

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