sabato 8 novembre 2014

San Martino e dintorni in 10 poesie italiane

San Martino cade l’11 novembre di ogni anno. Il clima dei nostri tempi, è cambiato: l’inquinamento atmosferico, come tutti sanno, ha causato un costante innalzamento delle temperature, mutando drasticamente le classiche caratteristiche delle stagioni. L’estate di San Martino, oggi, per i motivi che ho spiegato, non è più identificabile climaticamente parlando; in passato era un periodo compreso nella prima metà di novembre, e coincideva spesso con una serie di giornate serene, tiepide, tanto da far pensare ad un ritorno dell’estate. Ovviamente non sempre il tempo regalava queste belle giornate, ma già il fatto che in diversi anni, tale evento si ripetesse, fece in modo che gli esseri umani fantasticassero su una repentina e inattesa ricomparsa dell’estate, destinata durare pochissimi giorni. Ecco, a tal proposito, una serie di poesie italiane dell’Ottocento e del Novecento che parlano del giorno di San Martino e della sua estate.





SAN MARTINO

di Giosuè Carducci (1835-1907)

La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale 
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini 
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi 
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

(Da "Rime nuove", 1889)





NELL'ESTATE DEI MORTI
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

Guarda. Non ha la terra una pianura
più dolce. Sotto l’autunnale giorno
come regina sta, porpora e oro,
immemore de l’alta genitura.
Alte le biade, se ricordi, in torno
fluttuavano come un mar sonoro,
avanzando la grande tua figura.

Guarda le nubi. Fendono leggère
talune il cielo come le galere
un ellesponto cariche di rose
che si riversan pe’ ricurvi fianchi;
vanno talune come gloriose
quadrighe tratte da cavalli bianchi;
figurando la forza ed il piacere.

Dense come tangibili velarii
scorrono il piano le lunghe ombre loro.
Entro splendonvi or sì or no le vigne
pampinee, le pergole, i pomarii,
e le foreste da la chioma insigne,
e tutte quelle sparse cose d’oro,
come entro laghi azzurri e solitarii.

Guarda. Ti dà la terra tutti i suoi
pensieri. Lèggi. Mai per le sue forme
visibili ella espresse più profondi
pensieri. (Io ben li leggo ora, da poi
che tu nel giorno più non mi nascondi
il sole.) Guarda come ella s’addorme
ne’ suoi pensieri. - Che faremo noi?

Oggi, per far più cupo il tuo pallore,
per far più triste l’anima dolente,
evocherò, come più tristamente
non volli mai - con una melodia
infinita, continua, che sia
senza numero quasi -, un grande amore
passato, un grande lontano dolore.

Tendevi, ne la luce ultima, ieri
verso i tuoi fulvi alberi ancor vocali,
tendevi tu l’orecchio, - ti ricordi? -
proclive, come un musico che accordi
una lira; ed a te l’ombre dei neri
capelli in fronte battevan come ali.
E parevi diffusa in quei misteri.

Or tu m’odi ne l’atto che mi piacque,
t’inclina al verso come a quel susurro
di morienti nel letale occaso.
Rimanesti in ascolto quando tacque,
immota; e l’ora ti coprì d’azzurro
e di silenzio pia. Sole, nel vaso
marmoreo, per te piansero l’acque.

Piansero quelle ch’eran sì canore!
Scendea l’azzurro col silenzio e il gelo
notturno, senza fine; senza fine
gli astri sgorgavan come adamantine
lacrime dal profondo cielo; e il cielo
era lontano come un grande amore
passato, un grande lontano dolore.

Odimi, reclinata verso il suono.
L’anima imperiosa, dal suo trono
piegando verso me che parlo, m’oda.
La farò triste come non fu mai.
Sol una volta almen tu piangerai,
tu che non ridi al verso che ti loda
e scuoti il capo quando io t’incorono.

(Da "Poema paradisiaco", 1893)





WATERLOO
di Romualdo Pantini (1877-1945)

San Martino, bel santo della guerra,
oggi ch'è la tua festa qua discendi,
e l'ombra de la tua lancia protendi
sopra la dissodata umida terra!

Chi mai t'invochi in questo dì non erra:
che nel primaveril sole risplendi,
e di luce benefica raccendi
ogni zolla che ancor sangue rinserra.

Ma i cavalli, che già scosser di polve
nembi pugnaci, traccian lenti i solchi
allo stanco richiamo dei bifolchi.

E al clangor delle trombe non risponde
che il fischio del vapor, e '1 sol confonde
con gli ori suoi la gloria e la dissolve.

(Da "Antifonario", 1906)





SAN MARTINO
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)

La prima neve subito si squaglia,
e di ruscelli abbevera i maggesi.
Avvezzi i pin dei venti alla battaglia,
stanno nell'aria tepida sorpresi.

Ma per che l'ala intirizzita pesi
al passerotto che qua e là si scaglia;
e tace il verso dei tacchini vanesi,
e stecchita si drizza la boscaglia.

Pur se questo, Novembre, è un tuo trastullo,
e di timo non hai cespo che odori,
né lodoletta e lasci il pesco brullo,

mi piace il gesto tuo, perché t'accori
d'esser barbogio e vuoi tornar fanciullo,
come d'un vecchio che raccolga fiori.

(Da "Resine", 1911)





INSALATA DI SAN MARTINO
di Ernesto Ragazzoni (1870-1920)

I
È una tepida estate
di San Martino, tanto
dolce che le giornate
d’April non hanno incanto

maggior. Le stesse foglie
secche, per i vïali
più che l’aria di spoglie,
hanno un aspetto d’ali

mutevoli, lunghesso
i fossi e dentro i carri,
che se le tiran presso
in turbini bizzarri.

Io vo’ pei campi; avanzo
oltre i sentieri, e fumo,
contandomi un romanzo
per mio uso e consumo;

dove, com’è disegno
nelle oleografie,
ci son isbe di legno
sotto la neve, vie

tra pioppi ermi al tramonto,
cacciatori in cucina
attorno a un pasto pronto;
un’Ada, un’Ermelina

che guardan pei cancelli
se giunge Adolfo, Arturo;
rovine di castelli
chiuse in un cielo oscuro,

sassi di muriccioli
coll’edera, e un mendìco...
mulini... boscaiuoli...
un pozzo sotto un fico,

bimbi affacciati ai vetri
che guardan, chi sa dove;
passan forme di spetri
(son tanti dì che piove);

nubi, e una spiaggia incolta.
Insomma, l’arsenale
completo d’una volta,
romantico - autunnale.


II
Io vo’ pei campi, fiuto
per l’aria odor di tordi
arrosto, in un velluto
— cari! — di lardo a fior di

fiamma sovra uno spiedo;
e il buon odor mi viene
da un luogo che non vedo,
ma certo assai dabbene.

O pace! Che mai l’oste
mi servirà stasera?
Forse le caldarroste
— o pace! — e del barbera?

O le pere in giulebbe...
(che giorni ha San Martino!)
Né mi dispiacerebbe
prima uno stufatino.

Che pace! È come un lento
lasciarsi andare a caso
s’un fiume sonnolento,
incontro a un bell’occaso...

L’acque, in un loro velo
viola e d’or, pare ardano;
e sono l’acque e il cielo
silenzi che si guardano.

Io vo’ pei campi. Lungi
bruciano forse stipa,
c’è un fumo, e ve ne aggiunge
pur uno la mia pipa.

Oh, il fumo? Chi la sente
la nostalgia che ha
il fumo — che, silente —,
d’autunno se ne va,

(esule e senza casa)
d’autunno, e verso sera...
sulla campagna rasa...
ombra che si fa nera!

Con che, detta la mia,
(come la mulinavo!)
brava corbelleria,
fo’ punto, e vi son schiavo.

(Da "Poesie", 1927)





ESTATE DI SAN MARTINO
di Emilio Girardini (1858-1946)

Oh, la piccola estate! Al tempo bello
il tardo autunno infreddolito e vizzo
si ringalluzza come un vecchierello
che dal cantuccio ai campi esce rubizzo.

Io pur l'aggranchita anca mi rizzo
e lungo i miei viottoli, bel bello,
nel sole, a la vitalba, acceso tizzo,
sosto, o a una rosa languida a un cancello.

Ma, giunto a un bivio, simili a orfanelle,
se vogliono la madre che non hanno,
gemere udendo al vento tre alberelle

a piè di un calvo e taciturno abete,
m'auguro, sciolto dal fugace inganno,
fra quattro sue compatte assi quiete.

(Da "I canti della sera", 1931)





SAN MARTINO
di Luigi Fallacara (1890-1963)

L'autunno, doratura
d'alberi e di paesi,
sulla nera pianura,
gli aridi fuochi ha accesi.

Passeggero brillare
di splendori fra i rami,
dolce sogno a sognare,
per me senza richiami.

Guardo, appare, si perde,
ciglio di neonata,
l'esile filo verde
del grano dell'amata.

Le bianche radichette
affonda la semente,
la primavera mette
oggi il suo primo dente.

(Da "Antologia", 1934)





ESTATE DI SAN MARTINO
di Cesare Pavese (1908-1950)

Le colline e le rive del Po sono un giallo bruciato 
e noi siamo quassù a maturarci nel sole. 
Mi racconta costei - come fossi un amico -
«Da domani abbandono Torino e non torno mai più.
Sono stanca di vivere tutta la vita in prigione».
Si respira un sentore di terra e, di là dalle piante,
a Torino, a quest'ora lavorano tutti in prigione.
«Torno a casa dei miei dove almeno potrò stare sola
senza piangere e senza pensare alla gente che vive.
Là mi caccio  un grembiale e mi sfogo  in cattive risposte
ai parenti e per tutto l'inverno non esco mai più».
Nei paesi novembre è un bel mese dell'anno:
c'è le foglie colore di terra e le nebbie al mattino,
poi c'è il sole che rompe  le nebbie. Lo dico tra me
e respiro l'odore di freddo che ha il sole al mattino.
«Me ne vado perché è troppo bella Torino a quest'ora:
a me piace girarci e vedere la gente
e mi tocca star chiusa finch'è tutto buio
e la sera soffrire da sola»! Mi vuole vicino
come fossi un amico: quest'oggi ha saltato  l'ufficio
per trovare un amico. «Ma posso star sola cosi?
Giorno e notte -l'ufficio - le scale - la stanza da letto
se alla sera esco a fare due passi non so dove andare
e ritorno cattiva e al mattino non voglio più alzarmi.
Tanto bella sarebbe Torino - poterla godere 
solamente poter respirate». Le piazze e le strade
han lo stesso profumo di tiepido sole 
che c'è qui tra le piante. Ritorni al paese.
Ma Torino è il più bello di tutti i paesi. 
«Se trovassi un amico quest'oggi, starei sempre qui».

(Da "Poesie del disamore", 1977) 





ESTATE DI SAN MARTINO
di Gian Carlo Conti (1928-1983)

Una nebbia sospesa appena si distende
sui neri solchi e le siepi già irte,
ma il sole è ancora tiepido
in questa lunga estate di San Martino
in cui cammino a passi lenti per la via,
che non conduce più a verdi paradisi,
ma ad una casa vicina,
al naturale confine della vita.

(Da "Il profumo dei tigli", 1960)





L'ESTATE DI SAN MARTINO
di Carlo Betocchi (1899-1986)

Questi che scopa, scopa
le sue foglie d'autunno
nel sol di San Martino,

questo buffo becchino,
in tuta, malinconico,
che i pensieri di casa

nella scopa travasa,
mentre la fa pei lastrici
puliti andar per nulla

tra il vento che gli frulla
le crepitanti foglie,
via! povero gnomo...

E soltanto gli giova,
di quel lavoro inutile,
quel che ripensa e cova

dell'umil vita in sé:
lì presso, intanto, un cumulo
di tali foglie brucia,

e quieto par che dica:
- Ad altro indirizzo
col mio bel ghiribizzo

di fumo al vento; e... senti,
senti sì come odora
di ciò che fu e sarà! -

Di quante libertà
fatto è il mattino: ognuno
ha la sua propria, e tutte

ne fann'una; e niuna è sola,
e tutte sono sole:
e c'è il sole per tutti.

Anche per me, simpatico
passeggiator che passo
e sbocconcello un pane

con l'uva e il ramerino,
e con l'occhio strapazzo
(tal quale un giovinastro

le fuggiasche ragazze),
l'aria fresca, pungente,
le frasche d'un giardino,

il mio caro spazzino.

(Da "L'Estate di San Martino", 1961)

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