domenica 1 marzo 2015

Marzo in altre 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

MARZO
di Giorgio Caproni (1912-1990)

Dopo la pioggia la terra
è un frutto appena sbucciato.

Il fiato del fieno bagnato
è più acre - ma ride il sole
bianco sui prati di marzo
a una fanciulla che apre la finestra.

(Da "Poesie 1932-1986", Garzanti, Milano 1989)





MARZO
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Oggi la primavera
è un vino effervescente.
Spumeggia il primo verde
sui grandi olmi fioriti a ciuffi
dove il germe gia cade
come diffusa pioggia.
Fra i rami onusti e prodighi
un cardellino becca.
Verdi persiane squillano
su rosse facciate
che il chiaro allegro vento
di marzo pulisce.
Tutto è color di prato.
Anche l'edera è illusa,
la borraccina è più verde
sui vecchi tronchi immemori
che non hanno stagione,
lungo i ruderi ombrosi e macilenti
cui pur rinnova marzo il grave manto.
Scossa da un fiato immenso
la città vive un giorno
d'umori campestri.
Ebbra la primavera
corre nel sangue.

(Da "Opere", Mondadori, Milano 1981)





MARZO
di Arturo Onofri (1885-1928)

Marzo, fanciullo dal lungo sbadiglio,
i tuoi capricci incantevoli
come risa dopo le lacrime
sono trastulli di nuvole e sole.
Col tuo fresco fiato che sa di viole
appanni il verde novizio dei colli,
l’impiumo leggero degli alberi,
per poi rischiararli improvviso.
E il giuoco delle tue dita
dipana il groviglio del cielo
fra nero e sereno,
come in noi rifluisce e s’arresta la vita
divagando sospesa al tuo riso.
Scherzi col nostro cuore,
fanciullo dal lungo sbadiglio,
come fai sulla proda dei campi
con le piccole stille
che le accendi in minuscoli lampi,
per oscurarle di nuvole.

E il fiume che lento induce
i rilievi assolati della terra
verso il sospiro stanco della sera
accompagna il dolce belato
delle pecore al pascolo
secondo le curve indistinte dell’anima
che sogna in se stessa
e sorride al suo proprio pianto,
come te, fanciullo dal lungo sbadiglio.

Ma quando è calato il sole
e resta ancora un chiarore
nell’aria stanca di giuochi,
ecco un soffio più ilare
sgombra il sereno di tutte le nuvole,
e un filo di luce appena
pian piano tira su dall’orizzonte
fin sull’orlo del piccolo colle
la grande luna piena
che s’impiglia fra i rami senza foglie
della rossa robìnia tutta corolle,
come un gran frutto di luce
in mezzo ai suoi fiori.

Allora l’alta pausa notturna
addormenta la terra
dalle montagne lontane,
che sognano ancora turchino,
fino al gorghéggio romito
dell’usignolo fra i lecci,
che saluta il risveglio dell’infinito.

(Da "Arioso", Casa d'Arte Bragaglia, Roma 1921)





MARZO
di Giovanni Papini (1881-1956)

Sole di marzo e polverio di strade
sulle cascie e sul bòssolo patito
ne' vecchi prati margherite rade;
un melo bianco, primaticcio invito

al riprincipiamento intempestivo
d'ogni passione. E par che le sue palme
già protenda alla Pasqua il buon ulivo
che i rami torce sulle piogge calme.

Nel gran cielo di stagno liquefatto
di nuvoli leggeri una famiglia
taglia candidamente il campo intatto
come una primitiva meraviglia.

Un color di stanchezza solitaria,
d'umiltà consolata, di piacere
promesso e di rammarico è nell'aria,
quasi cenere d'altre primavere.

Nell'anime al calore disavvezze
tornano in compagnia memorie e voglie
e tutte le scordate tenerezze
come su' rami giovani le foglie.

(Da "Pane e vino", Vallecchi, Firenze 1926)





MARZO
di Alessandro Parronchi (1914-2007)

La brina s'è crettata sulle labbra dei campi 
e già il vino dell'alba s'è versato nel fango
macinato dai carri. La carne fra le coltri
troppo al caldo s'affina: ma la bocca del forno
fiata sull'erba odore di farina.

Con dolore ora preme alle radici
il nero della terra, con dolore
l'acqua serra i ginocchi della roccia
entro ceppi di ghiaccio, dalla rossa ferita
del sole, già richiusa, in tumori viola
pallida nel segreto ora filtra la vita.

Si scioglie un suono d'organi, si sveglia alle gengive
l'aceto, nella stanza tutta luce di vetri
passa e ripassa la mamma in faccende
come vista nel cavo d'una lente.

Senti come se tutti in te si riconoscano
veri ma tu non possa riconoscerti in loro.
Sei vivo, ma di terra. Nei cavalli che vanno
vedi il cielo che fuma vedi il giorno di nuvole.

(Da "Diadema. Antologia personale 1934-1997", Mondadori, Milano 1998)





MARZO
di Francesco Pastonchi (1874-1953)

Ieri, giochi di marzo, i praticelli
incipriati di neve e il Po nero;
oggi sereno che abbaglia su l'acque,
e le barche già cullano l'estate.
Torino, in una frale filigrana
d'alberi con le rivelate strade,
bella, e con quell'assistere di monti.

(Da "Endecasillabi", Mondadori, Milano 1949)





PRESAGI DELLA NUOVA STAGIONE
di Giuseppe Raimondi (1898-1985)

Marzo, 
che fai sbatter
le persiane alle finestre,
e nei giardinetti
vai risvegliando
le adolescenti
in blusa verde,
concedimi
di riposar la mia
freddolosa scontentezza invernale
sotto un cielo mattutino
di zaffiro,
ammorbidisci
la luce in fronte
alle bianche ville.

[Da "Poesie (1924-1982)", Scheiwiller, Milano 1999]





MARZAIOLA
di Mercurino Sappa (1853-1926)

Già da la neve fuor, che in sé trapela,
I petali sporgea bruni a guardare
Una mammola, un cuor nato ad amare,
Che nel tacito effluvio si rivela.

E un'alauda invisibil, che s'inciela,
In note diffondea squillanti e chiare
L'anima, che nel sole odi tremare,
E 'l mondo abbraccia e a l'infinito anela.

E quell'inno parea tutto fragrante,
E parea quel profumo una melode
Sopra la terra candida, aspettante.

Sentìasi un'aura di lontane prode
Nunzia di primavera in quell'istante.
L'anima delle cose apresi e gode.

(Da "Il manipolo", Streglio, Torino-Genova 1908)





MARZO
di Diego Valeri (1887-1976)

Marzo è lassù nella sua nuvola
di vento e sole, di fumo e argento.
Tu sei quaggiù nella tua favola
d'anima e carne, di gioia e tormento.

(Da "Poesie", Mondadori, Milano 1962)





ACQUERELLO DI MARZO
di Bruno Vignola (1878-1956)

Giù nella strada
sotto la mia finestra aperta su un cielo biadetto di marzo
c'è un subito stropiccio di passi.
M'affaccio: un funerale. Sul grande
carro ammantato di ghirlande
rosse batte ora un vivo sprazzo di sole
di questo sole così nuovo, così buono - - -
Va lento e grave il carro, e passa
con dietro il suo sommesso scalpiccio.
E c'è nell'aria un odore così strano:
di fiori:
come un filamento di primavera,
se non ci fosse insieme anche questo odor di cera:

che mi fa pensare al morto
che là in fondo, di via in via, fino al cimitero,
agli urti del carro che traballa
su l'acciottolato
tentennando i suoi pennacchi neri,
scrolla nell'inchiodato
buio della cassa
la sua ermetica faccia gialla:

ora... che su pe' muri dei giardini
bianchi di ghiaia a brune macchie di fresche aiuole
i glicini scuotono alla brezza
in fitti grappoli azzurrini
i loro mille bùbboli di odore - - -

(Da "Gamma", Taddei, Ferrara 1918)

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