giovedì 30 aprile 2015

Gli animali in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo (IV)

L'ALLODOLA E LA LUNA
di Vittorio Bodini (1914-1970)

L'allodola e la luna sole nel cielo:
lei sorta appena e il passero spaurito
dal pino nero e i silenziosi spari
dei finti cacciatori in mezzo al grano nascente.
Nessuno l'attendeva. Nessuno attende.
Volava di traverso con tutto il cielo in gola.
Sotto di lei crollavano i papaveri,
un'ombra cancellava coi grossi pollici
il dolce vino e il viola del tramonto.

In una stanza in fondo, la memoria,
lasciata ai suoi più torbidi solitari,
di te non s'informava, fine d'un grande giorno:
giorno da meditare
davanti a una finestra, col silenzio alle spalle.

(Da "Tutte le poesie", BESA Editrice, Lecce 1997)





LA COCCINELLA
di Giuseppe Gerini (1895-?)

Il nostro oliveto, il nostro vigneto
d'aprile!
Palpito d'argento
tenerezza di verde
a specchio del cielo, pupilla serena.
Un prato riposa tra loro
lieto di sue margherite.
Coglie coglie la sorellina
alla bambola
corone di sposa.
O grembiulino rosa
o nimbo di riccioli d'oro
come tutta fai gioia!
Sulla trama della tua mano,
carezza che al sole traluce,
la coccinella conduce
strade d'incertezza.
La segui - azzurra innocenza degli occhi! -
l'esorti: «Mariola, mariola
prendi il libro, va' a scuola».
Lassù, dal vertice aereo dell'indice,
un fievole fievole brivido d'ale:
è sparita.
Dove? Sparita.
Così come tu, sorellina, sparisti,
per entro quel palpito dell'uliveto
oltre quel tenero verde,
là dove tutto si perde.
Dei tuoi riccioli tanti
alla mamma rimase una ciocca
spasimo della sua bocca,
e un grembiulino rosa
per i suoi lunghi pianti.

(Da "Termini. Collezione di poesia", Fiume 1938)





AL PIPISTRELLO
di Marino Marin (1860-1951)

O pipistrello, che nei vespri grigi
d'estate solitario esci, com'esco
anch'io, che vai su e giù, prendendo il fresco,
come anch'io vado, al canto delle strigi:

m'odi, fratello in Dio: - Se san Francesco
fosse uso offrirti all'imbrunir, quand'era
intorno a lui tutto estasi e preghiera,
le briciole cadute dal suo desco,

non so, ma questo io so: che, se la schiera
posta a vegliar la pergola infernale
ebbe da te lo stampo alle grandi ale
che spazian vaste su la bolgia nera,

non sei perciò men buono e non fai male
all'insettuccio, nel funereo volo,
più che non gliene faccia l'usignolo,
ch'empie di sé l'effusa pace astrale.

Eppur solingo vai radendo il suolo,
come un reietto; onde, se un uom fu tanto
pio ch'abbia un dì potuto amarti - oh il Santo! -
quell'uom non poteva esser che lui solo:

quel ch'ebbe nella dolce anima il canto
degli uccelletti... Gli uccelletti buoni
le stavano ad udir, ché i suoi sermoni
sapean d'acetosella e d'amaranto.

Dagli alberi scendean, dai cornicioni
a udire il Santo dalle guance cave...
Tu li guardavi, pendulo da un trave,
tra i ragnateli, cupo, e i calabroni.

Tenevi su quel pio, ch'ebbe la chiave
di tutti i cuori, poverel d'Assisi
senza dubbio anche tu gli occhietti fisi,
sebbene in uggia al vago stuol soave.

Fissavi gli occhi tuoi senza sorrisi
nei suoi, che due finestre spalancate
eran da Dio sui campi e le borgate
ad esaltar Gesù: due paradisi.

Stavi, quand'eran lunghe le giornate,
l'ali afflosciate a un trave: eri il reietto...
Solo nei gialli occasi, erto sul petto,
le aprivi al vento come vele issate.

Forse pregavi: - Deh fratel diletto,
perché non mi vuoi tu, dappoi che anch'io
sono una creatura del buon Dio,
con gli altri cari uccelli al tuo banchetto? -

- Ciò che mi chiedi - avrà risposto il pio -
volentieri farei, se tu non fossi
tal che le cingallegre e i pettirossi
n'avrebber gran corruccio, o fratel mio.

Ma queste membranucce, che tu indossi,
te le ha pur fatte Iddio. Dunque t'accosta:
siimi tu commensal, mentre, a lor posta,
pìano essi tra le frasche in riva ai fossi.

C'è un'animuccia buona, in te riposta,
che vuolsi amare: un'animuccia ch'amo.
Fammiti innanzi: non temere. Abbiamo
anche per te, se hai fame, un po' di crosta.

Se così fosse, fosti allor men gramo
ch'or tu non sia, sotto la volta immensa;
ché un uomo a te pensò, come Dio pensa
al verme in terra e all'augellin sul ramo.

Ora egli siede alla celeste mensa
con frate Egidio e fra' Ginepro; e invano
tu attendi un altro santo, un francescano,
che t'apra il cuor, che t'apra la dispensa.

Forse egli vede dal suo ciel lontano
che vai sovente a ricercarlo in chiesa,
ma più non può salvarti, e gliene pesa,
dalla granata del suo sagrestano...

Talor mi sento anch'io sfiorar la tesa
del cappello... Sei tu: t'avventi sciocco:
io penso a un piccol nero Libicocco
appena uscito dalla pece accesa.

Passi, ed io scatto, trasalendo al tocco
delle tue fredde ali ventanti, in piedi:
- Scatti! Perché? - tu sembri dir - Non vedi?
Chiedo la tua pietà ma non la scrocco. -

Lo so, lo vedo: dalle fosche sedi,
no, tu non vieni, ma il Signor t'ha fatto
tuttavia tal che, se mi tocchi, io scatto,
senza volerlo, trasalendo, in piedi.

No, tu non vieni dal penace anfratto,
ma rechi in te la nemesi fatale:
tu pur mi sei fratello in Dio, tal quale
m'è l'usignol, ma... schivo il tuo contatto.

(Da "Sprazzi di luce", Scarpa e Gambaro, Adria 1930)





IL PIANTO DEI GRILLI
di Marino Moretti (1885-1979)

Su la campagna è scesa l'azzurra sera e in cielo
la luna esce da un velo di nuvolette, accesa.
Tutto tace, soltanto s'ode a tratti nel vento
un'eco di lamento, una voce di pianto.

E come, come insiste sotto la dolce luna
quella voce importuna che è sempre tanto triste;
quell'eco solitaria che viene di lontano
e confina il suo vano accento ai soffi d'aria.

Non sono forse i grilli che ripetono in coro,
cantilenando, i loro malinconici strilli?
e non cercano invano nel campo che fu loro,
ed oggi è spoglio, i loro nidietti fra il grano?

(Da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1966)





FRAMMENTO DELLA MARTORA
di Giorgio Orelli (1921-2013)

...
A quest'ora la martora chi sa
dove fugge con la sua gola d'arancia.
Tra i lampi forse s'arrampica, sta
col muso aguzzo in giù sul pino e spia,
mentre riscoppia la fucileria.

(Da "L'ora del tempo", Mondadori, Milano 1962)





LA VASCA DELLE ANGUILLE
di Aldo Palazzeschi (1885-1974)

La vasca è assai grande
e l'acqua v'è fonda quattr'uomini almeno.
Si dice: «vi sono le anguille».
Sta intorno nel giorno la gente a pescare alla canna.
«Son grosse le anguille,
più grosse d'un bimbo fasciato» si dice.
Sta intorno nel giorno la gente a pescare alla canna.
«Son buone le anguille,
più buone del pane e del miele» si dice.
Sta intorno nel giorno la gente a pescare alla canna.

(Da "Poesie", Preda, Milano 1930)





VIVI CON ME, NON ANDARTENE...
di Michele Pierri (1899-1989)

Vivi con me, non andartene, dice
con l'occhio obliquo la gazza. È Chico
e va beccando a sé il legaccio d'una
mia scarpa. Ho l'anima ammalata, apre
l'uscio a visioni chiare,
troppo chiare, la vecchiaia. Insiste
il becco più sù al malleolo, gioco
e guerra. La pena meglio del niente,
ho ancora da tentare
un'ultima viltà se m'incoraggio
a bere e poi patteggio
le cose che speravo.

(Da "Chico ed io", Lacaita, Manduria 1984)





IL LUPO
di Domenico Rea (1921-1994)

Il lupo minacciò dall'infanzia
da questi monti a mantello
sulla valle di Nofi.

Minacciò mia madre
che andava portando figli
nella borsa a fisarmonica.
E una volta balzò dalla valigia
al posto del neonato.

Tutte le donne gridarono
e i mandriani estrassero i coltelli.

La puerpera solo disse parole
di dolce lamento al lupo,
che piegò la fronte
e inalberò la coda della pace.

(Da "Nubi", Società editrice napoletana, Napoli 1976)





MORTE DELL'AQUILA
di Cesarina Rossi (1887-1962)

Quando l'aquila oltrepassa
I nevai immacolati
Altro etere essa cerca
Per le ali dispiegate
Ed un sole più vicino
In un cielo di cristallo
Per accendere la vampa
Dei suoi occhi foschi e tristi.

Poi si leva a respirare
Un torrente di scintille.
Sempre più, sempre più alto
Gonfia il volo calmo e fiero
Sale verso l'uragano
Dove il lampo la trascina.

Ma la folgore d'un guizzo
Stronca, spezza le sue ali.
Con un lugubre lamento
Essa turbina in balia
Della tromba e dell'incendio
E fissandolo, sublime
Muore in turbini di fuoco.

O felice chi in un volo
Di gloriosa ribellione
Nell'orgoglio della forza
E l'ebbrezza del sognare
Come l'aquila soccombe
Mentre un fulmine balena.

(Da "Piccolo anello d'oro", Interlinea, Novara 2002)





LA LEPRE
di Aurelio Ugolini (1875-1907)

Pur ora, é ver, fra opache selve intatte
trasalivi anche allo sfrascar d'un vepre;
ma di paura il cuor più non ti batte,
                        pavida lepre.

Ora, lontana dal natio coviglio,
sembri adagiarti alfin paga e tranquilla:
dal fesso labbro al suolo il tuo vermiglio
                        sangue zampilla.

Ricordi tu le trepide speranze,
l'ombre che amiche t'adducea la bruna
sera e le tue vertiginose danze
                        sotto la luna?

O, impaziente, aneli forse ancora
l'acciar dei tesi tendini e i silvani
triboli dove ti frugò l'odora
                        forza dei cani?

Folle cui tarda, dietro la fugace
orma d'un sogno, racquetare il forte
desio che l'urge e l'affatica: è pace
                        sol nella morte.

(Da "Viburna", «La Vita Letteraria», Roma 1908)

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