venerdì 24 aprile 2015

Gli eroi della Resistenza nei versi di due poeti neorealisti

In occasione del 25 aprile (e quest'anno si festeggiano i 70 anni dalla liberazione dell'Italia) ho scelto due poesie che parlano dei partigiani uccisi durante la 2° Guerra Mondiale. Gli autori di tali poesie furono definiti "neorealisti" per la cospicua presenza, nei loro scritti, di temi legati alle difficili condizioni di gran parte del popolo italiano nell'immediato dopoguerra; costoro ebbero una certa notorietà negli anni cinquanta del XX secolo.
Franco Matacotta (Fermo, 1916 – Genova, 1978) compì i suoi studi a Roma e cominciò a pubblicare dei versi nella rivista «Prospettive». Dopo gli esordi classicheggianti ed ermetici, testimoniati dalla raccolta Poemetti (1941), si dimostrò poeta impegnato, attento alla politica del suo tempo ed alle realtà sociali della nazione italiana. Di questa svolta sono testimonianza i volumi: Fisarmonica rossa (1945), La terra occupata (1946), Ubbidiamo alla terra (1949); alcune delle opere citate furono firmate con lo pseudonimo di Franco Monterosso, e tutte confluirono nella raccolta Canzoniere di libertà (1953). Interessanti sono anche i versi scritti successivamente, in cui si nota una profonda delusione per una situazione politica italiana che non rispondeva certo a quella auspicata. Nella poesia sotto riportata Matacotta immagina che i partigiani uccisi dai nemici nazifascisti tornino a vivere per gioire della tanto sospirata pace e della vittoria finale.
Mario Cerroni (Poggio Mirteto, 1921 - Udine, 1957) fu redattore della rivista «Momenti» e svolse l'attività di critico letterario presso la rivista «Il lavoratore». Fece parte di un gruppo poetico friulano riunitosi attorno ai «Quaderni del provinciale»; pubblicò alcune raccolte di versi tra le quali si citano: I canti della pace (1953), Il giorno sulla Vojussa (1955) e Il cuore sulle strade (1956). Morì a soli trentasei anni. Così come Matacotta, la poesia di Cerroni mostra caratteristiche inerenti all'impegno sociale e politico, a tal proposito dimostrativo è il testo qui presente, in cui il poeta ricorda in modo intenso un compagno di lotta partigiana rimasto vittima dei nemici.




CORO DI PARTIGIANI FUCILATI
di Franco Matacotta

O notte amara, notte senza pace,
di vetro scuro e avvelenate spine,
notte di nuovo ammantata d'orbace
agguato fosco che non ha più fine.

Stanno i cipressi come sentinelle
pronte per misteriose esecuzioni,
il vento sulle tombe senza stelle
rimbomba come un passo di plotoni.

Sul capo batte il maglio dei pensieri
come colpi d'ariete contro un muro,
il canto dei lontani carrettieri
sembra il singhiozzo cupo d'un tamburo.

Tutto è spento, sui fiori calpestati
palpita solo un grillo arrugginito,
ma ai partigiani morti fucilati
l'oro del sole non s'è mai scurito.

Il fulminato battito del cuore
ha ripreso a pulsare sotto l'erba,
come la punta del perforatore
scava nel buio la speranza acerba.

Come grappoli odorati d'acacie
nella notte sbocceranno le mani,
sarà l'aprile una pasqua di pace
per i soldati per i partigiani.

Sarà la pace una torcia di pino
sarà un fiammante fazzoletto rosso,
anche Cristo un purpureo collarino
avrà sul petto come un pettirosso.

Guanciale dolce di spigo e di melo,
pace, solo con te riavrò riposo,
come un'ape cullata sullo stelo
culla il mio sogno, vento doloroso.

(Da "Canzoniere di libertà", 1953)





LA MORTE DI CIRO
di Mario Cerroni

Se busserai alla porta appena il giorno
lievita nella voce dei lattai,
forse mi sarà strano il tuo saluto
che dicevano forte e alto, alzando
il pugno chiuso come se stringessimo
il verde sangue della patria aperta.
Una recente timidezza muto
mi renderebbe, dolce in fondo agli occhi,
a sentire la tua mano di pini
posarsi alla mia pagina sospesa.
Anch'io vorrei tornare alle parole
sulle pietre imparate alte dei fiumi,
intuite nel fondo della notte
quando s'usciva di pattuglia a accendere
il richiamo dei fuochi agli apparecchi,
alati crocifissi sulla neve.
Tu parlavi di muschi e di ginepri
e nel silenzio pur trovavi il segno
dell'aria colorata, sorridevi
a tuo figlio pensando che cresciuto
sarebbe spensierato nella pace.
Non domandarmi dove fu impiccato:
tu la conosci la storia degli uomini
che fermavano i panzer con le pietre.
Forse a un ramo di pesco di settembre,
forse a una draglia di battello, anche
può essere a una benna di cantiere.
Ciro è morto a disperdere nell'aria
alta delle domeniche di sagra
per sempre le paure, che cantassero
liberi gli uomini della montagna
e alla riva celeste dello Stella
le donne ci chiamassero all'amore.

(Da "Il giorno sulla Vojussa", 1955)

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