Gli incubi,
naturalmente, appartengono alla categoria dei sogni e come tali andrebbero trattati;
però, il post che in futuro si occuperà dei sogni, lo farà interpretandoli in
modo diverso dagli incubi, cioè come qualcosa di piacevole, auspicabile,
desiderato. Questi "cattivi" sogni invece, mostrano dei personaggi
ricorrenti: demoni, donne, cavalli, esseri morti e l'immancabile immagine della
"Morte". Anche alcuni temi ricorrono: il sesso (vissuto in modo
angosciante), la guerra, il paesaggio stravolto. A proposito di quest'ultimo si
può leggere la poesia di Corradino, dove il poeta si aggira in luoghi freddi,
grigi e inospitali, che pure, in qualche modo, riconosce. Ricorre non di rado
la presenza dell'acqua, che a volte copre tutte
le cose che sognammo, amammo ed odiammo (Arturo Foà); a volte scopre corpi
mutilati e senza vita di uomini e di animali (Giaconi).
Poesie sull'argomento
Gustavo Botta:
"Incubo" in "Alcuni scritti" (1952).
Giovanni Camerana:
"Piranesi", "Io sognai. Fu il mio sogno fantastico" in
"Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli:
"La forca" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Giovanni Cena:
"L'incubo" in "In umbra" (1899).
Giovanni Alfredo
Cesareo: "Il cavallo" in "I canti di Pan" (1920).
Guelfo Civinini:
"Gli incubi" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Corrado Corradino:
"Incubo" in "Su pe 'l calvario" (1889).
Lucio D'Ambra:
"Al fiorir dell'arancio" in "Monile" (1897).
Gabriele D'Annunzio:
"Un sogno" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luigi Donati:
"L'Incubo" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Arturo Foa: "Un
incubo" in "Le vie dell'anima" (1912).
Luisa Giaconi:
"L'incubo" in "Tebaide" (1912).
Alessandro Giribaldi:
"Incubo" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni:
"Incubo" in "Le fiale" (1903).
Corrado Govoni:
"Sogno d'un funerale" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Arturo Graf: "La
carica notturna" in "Le Danaidi" (1905).
Angiolo Orvieto:
"Incubo" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Angiolo Orvieto:
"Incubo del carcere" in "Il vento di Sion" (1928).
Giuseppe Piazza:
"Incubo" in "Le eumenidi" (1903).
Guido Ruberti:
"Presagio" in "Le fiaccole" (1905).
Antonio Rubino:
"Sogno di Re" in «Poesia», ottobre 1908.
Giovanni Tecchio:
"Sogno eterno" in "Canti" (1931).
Testi
AL FIORIR
DELL'ARANCIO
di Renato Edoardo
Manganella (Lucio D'Ambra)
(Io t'ho sognata
morta, questa notte:
la lampada sul tuo
volto avventava
la luce gialla delle
fiamme rotte.
Morta! Il pallore
funebre velava
le tue pupille dolci
come all'ore
liete, quando l'amore
alto squillava.
Il letto bianco e su
la coltre fiori
bianchi e le mani
pallide sul seno
conserte, come rôse
da un veleno:
il grondar della
pioggia dal di fuori.)
Il sogno è vano ed è
l'arancio in fiore.
(Da
"Monile", Tipografia Folchetto, Roma 1897)
SOGNO DI RE
di Antonio Rubino
Sul re che dorme, un
pendulo fanale
sanguinolenti
ghirigori esprime.
Ecco: io vedo
un'alata Ombra sublime
con le ginocchia sul
petto regale.
Un orrendo delirio lo
assale
sotto la immonda
Larva che l'opprime.
Ecco. Io La vedo
scuotere le cime
dell'ali con un
fremito augurale.
L'invisibile sogno
apre le porte
e ne varca le soglie
d'improvviso
una figura con la
testa mozza.
Oh come viene! oh
come erge la sozza
piaga del collo, che
le fu reciso,
palpando l'aria con
le dita morte!
(Dalla rivista
«Poesia», ottobre 1908)
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