domenica 6 novembre 2016

Gli incubi nella poesia italiana decadente e simbolista

Gli incubi, naturalmente, appartengono alla categoria dei sogni e come tali andrebbero trattati; però, il post che in futuro si occuperà dei sogni, lo farà interpretandoli in modo diverso dagli incubi, cioè come qualcosa di piacevole, auspicabile, desiderato. Questi "cattivi" sogni invece, mostrano dei personaggi ricorrenti: demoni, donne, cavalli, esseri morti e l'immancabile immagine della "Morte". Anche alcuni temi ricorrono: il sesso (vissuto in modo angosciante), la guerra, il paesaggio stravolto. A proposito di quest'ultimo si può leggere la poesia di Corradino, dove il poeta si aggira in luoghi freddi, grigi e inospitali, che pure, in qualche modo, riconosce. Ricorre non di rado la presenza dell'acqua, che a volte copre tutte le cose che sognammo, amammo ed odiammo (Arturo Foà); a volte scopre corpi mutilati e senza vita di uomini e di animali (Giaconi).



Poesie sull'argomento

Gustavo Botta: "Incubo" in "Alcuni scritti" (1952).
Giovanni Camerana: "Piranesi", "Io sognai. Fu il mio sogno fantastico" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "La forca" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Giovanni Cena: "L'incubo" in "In umbra" (1899).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Il cavallo" in "I canti di Pan" (1920).
Guelfo Civinini: "Gli incubi" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Corrado Corradino: "Incubo" in "Su pe 'l calvario" (1889).
Lucio D'Ambra: "Al fiorir dell'arancio" in "Monile" (1897).
Gabriele D'Annunzio: "Un sogno" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luigi Donati: "L'Incubo" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Arturo Foa: "Un incubo" in "Le vie dell'anima" (1912).
Luisa Giaconi: "L'incubo" in "Tebaide" (1912).
Alessandro Giribaldi: "Incubo" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "Incubo" in "Le fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Sogno d'un funerale" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Arturo Graf: "La carica notturna" in "Le Danaidi" (1905).
Angiolo Orvieto: "Incubo" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Angiolo Orvieto: "Incubo del carcere" in "Il vento di Sion" (1928).
Giuseppe Piazza: "Incubo" in "Le eumenidi" (1903).
Guido Ruberti: "Presagio" in "Le fiaccole" (1905).
Antonio Rubino: "Sogno di Re" in «Poesia», ottobre 1908.
Giovanni Tecchio: "Sogno eterno" in "Canti" (1931).



Testi

AL FIORIR DELL'ARANCIO
di Renato Edoardo Manganella (Lucio D'Ambra)

(Io t'ho sognata morta, questa notte:
la lampada sul tuo volto avventava
la luce gialla delle fiamme rotte.

Morta! Il pallore funebre velava
le tue pupille dolci come all'ore
liete, quando l'amore alto squillava.

Il letto bianco e su la coltre fiori
bianchi e le mani pallide sul seno
conserte, come rôse da un veleno:
il grondar della pioggia dal di fuori.)

Il sogno è vano ed è l'arancio in fiore.

(Da "Monile", Tipografia Folchetto, Roma 1897)




SOGNO DI RE
di Antonio Rubino

Sul re che dorme, un pendulo fanale
sanguinolenti ghirigori esprime.
Ecco: io vedo un'alata Ombra sublime
con le ginocchia sul petto regale.

Un orrendo delirio lo assale
sotto la immonda Larva che l'opprime.
Ecco. Io La vedo scuotere le cime
dell'ali con un fremito augurale.

L'invisibile sogno apre le porte
e ne varca le soglie d'improvviso
una figura con la testa mozza.

Oh come viene! oh come erge la sozza
piaga del collo, che le fu reciso,
palpando l'aria con le dita morte!


(Dalla rivista «Poesia», ottobre 1908)

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