giovedì 9 marzo 2017

Sole di marzo

                                                           ne la villa Medici

Filtra il sole di Marzo tra i sambuchi
tutti verdi d'un bel verde di prato,
i gerani ne l'orto tappezzato
rinnovano i lor petali caduchi.

Nei viali le giallastre erme dei duchi
dimenticano il lusso del passato,
le fontane pettegole il lor grato
tremolio riprendono di fuchi.

Apollo, tra le dee boscherecce
quali di marmo e quali di pietra,
qualche verro selvaggio attende al varco,

e ne l'attesa inutile le frecce
gli cadon da la logora faretra,
e si ripiega su sé stesso l'arco.





Sole di marzo è una poesia di Corrado Govoni (Tamàra 1884 - Lido dei Pini 1965) che uscì nella raccolta Le fiale (Lumachi, Firenze 1903). Precisamente, essa fa parte della sezione Il Piviale de l'Autunno, ed è la terza poesia di cinque comprese nella sottosezione Ver triste (pag. 186-187). Il sottotitolo: ne la villa Medici, sta ad indicare che fu composta o quanto meno ideata, durante una peregrinazione del poeta emiliano all'interno del famoso parco romano; tale discorso vale anche per molti altri componimenti poetici presenti in questa raccolta, dove i sottotitoli indicano precisi luoghi presenti all'interno della città eterna. La poesia ben s'inserisce nelle atmosfere decadenti e liberty che caratterizzano questa opera d'esordio di Govoni: un parco con i viali contornati da erme e da fontane dove appaiono deità pagane, spesso in atteggiamenti pensosi od oziosi. Qui c'è Apollo che, circondato da dee boscherecce di pietra, attende l'arrivo di un verro (maiale da riproduzione) per potergli scoccare un dardo; ma nell'ultima terzina di questo sonetto, il poeta rivela l'inutilità di quest'attesa, che si allunga particolarmente e causa, forse per distrazione, la caduta delle frecce dalla faretra del dio. Il ripiegarsi su sé stesso di quest'ultimo, sta ad indicare, con molta probabilità, una sorta di chiusura verso l'esterno, nata, appunto, dalla totale frustrazione che comporta il ripetitivo susseguirsi di determinate azioni inutili. Nella prima quartina si nota la descrizione di un paesaggio che annuncia la primavera, con la precoce fioritura di alcuni gerani (ma i petali sono caduchi, ad indicare, anche nella stagione della rinascita, un ennesimo senso di disfacimento) e il verde intenso dei sambuchi. Nella seconda quartina Govoni descrive un generale cambiamento di rotta, probabilmente dovuto alla nuova stagione imminente, che viene percepita anche dalle statue e dalle fontane, quasi fossero esseri pensanti. Certamente l'ambientazione pre-primaverile ha poco a che vedere col titolo di questa sezione; ma l'inserimento di questo sonetto è giustificato in quanto parte della sottosezione Ver triste (in latino: primavera triste), perché la bella stagione qui diviene qualcosa di malinconico e di sfinito: similmente all'autunno.

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