giovedì 13 luglio 2017

"Nel cielo soffii di deserto passano": l'estate in venti poesie italiane pubblicate tra il 1900 ed il 1919

Il primo ventennio del XX secolo fu caratterizzato, inizialmente, dall'ultima fase della Belle Époque: periodo considerato tra i più felici della storia dell'umanità, soprattutto per i progressi che si ebbero nel campo scientifico. Ma dopo appena tre lustri del secolo nuovo, ecco una devastante guerra che coinvolse un numero sterminato di soldati, molti dei quali, tra il 1914 ed il 1918 (data d'inizio e fine della Prima Guerra Mondiale), trovarono la morte. Quindi gli anni duri e difficili del dopoguerra che, purtroppo, in Italia culminarono con l'avvento della dittatura fascista. Le poesie qui presenti non toccano questi argomenti, ma si limitano a descrivere dei momenti, più o meno intensi, più o meno memorabili, vissuti durante le estati del ventennio citato. I poeti, in maggioranza, sono poco più che sconosciuti al grande pubblico; ma le loro poesie non sono da buttare e magari, potrebbero rappresentare un'occasione per far riemergere, da questo lontano passato, qualche scrittore ormai del tutto dimenticato.



BALLATA DELLE FALCI
di Guelfo Civinini (1873-1954)

Discorron piano sotto al vecchio melo
gli uomini: di lontano un cane abbaia.
Falci d'argento splendono su l'aia,
un'altra d'oro è pendula nel cielo.

Le belle falci che argentò il lavoro
han già tagliato per tutta la valle
la mèsse d'oro, ed ogni spiga è piena:
su l'aia sgorgherà come un tesoro
sotto lo scalpitar delle cavalle
che l'uomo al giro della corda infrena.

Sul colle dove l'aria è più serena,
fra i peschi e i meli vagola una coppia.
«Ti ricordi che fuochi nela stoppia?»
Ma chiamano pel vespero quieto:
«Rosa! Guglielmo!» ed: «Eccoci!» risponde
una voce. O che fanno nel frutteto?
Mangian le pesche? Luccican le fronde
sotto la falce pendula nel cielo.

(da "L'urna", Alighieri, Roma 1900)




BALLATA
di Ettore Botteghi (1874-1900)

Come nacque? da un fuoco alto d'ebbrezze
o da una voluttà spirituale,
o da un gran frullo d'ale,
o da una festa calda di carezze?

Se questa dolce nascita Tu sai,
dimmelo, o purità,
ora che stridon già
le cicale nel folto ed arde il sole.
Dimmi perché più bella ora ti fai,
ora che il sole va
per l'ampia azzurrità,
e fioriscono qui rose e viole,
e son più dolci assai le tue parole?
Come nacque? la spiaggia ha nel candore
pie canzoni d'amore,
e ci carezzan qui lievi le brezze.

(da "Poesie", Tip. Valenti, Pisa 1902)




PUR CHE TUA LUCE...
di Italo Dalmatico (1868-?)

Pur che tua luce fervida consenta,
o benefico sol bianco d'agosto,
il succo ne la botte ampia deposto
una forza novella oggi tormenta.

Spuma ne i tini la vendemmia e tenta
le nari e il capo odor acre di mosto,
quando, per tua virtù, sole, scomposto,
il sangue de la pia vite fermenta.

Canta e schiaccia le miste uve co 'l piede
tinto il villano e sente ampia da sotto
l'onda del vino gemere novello:

e caldo sangue de la terra ei vede
schizzar dal nero grappolo, ridotto
sotto la forza del muscolo snello.

(da "Juvenilia", De Schönfeld, Zara 1903)




LA TENZONE
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

O Marina di Pisa, quando folgora
il solleone!
Le lodolette cantan su le pratora
di San Rossore
e le cicale cantano su i platani
d’Arno a tenzone.

Come l’Estate porta l’oro in bocca,
l’Arno porta il silenzio alla sua foce.
Tutto il mattino per la dolce landa
quinci è un cantare e quindi altro cantare;
tace l’acqua tra l’una e l’altra voce.
E l’Estate or si china da una banda
or dall’altra si piega ad ascoltare.
È lento il fiume, il naviglio è veloce.
La riva è pura come una ghirlanda.
Tu ridi tuttavia cò raggi in bocca,
come l’Estate a me, come l’Estate!
Sopra di noi sono le vele bianche
sopra di noi le vele immacolate.
Il vento che le tocca
tocca anche le tue palpebre un po’ stanche,
tocca anche le tue vene delicate;
e un divino sopor ti persuade,
fresco ne’ cigli tuoi come rugiade
in erbe all’albeggiare.
S’inazzurra il tuo sangue come il mare.
L’anima tua di pace s’inghirlanda.
L’Arno porta il silenzio alla sua foce
come l’Estate porta l’oro in bocca.
Stormi d’augelli varcano la foce,
poi tutte l’ali bagnano nel mare!
Ogni passato mal nell’oblio cade.
S’estingue ogni desio vano e feroce.
Quel che ieri mi nocque, or non mi nuoce;
quello che mi toccò, piú non mi tocca.
È paga nel mio cuore ogni dimanda,
come l’acqua tra l’una e l’altra voce.
Cosí discendo al mare;
cosí veleggio. E per la dolce landa
quinci è un cantare e quindi altro cantare.

Le lodolette cantan su le pratora
di San Rossore
e le cicale cantano su i platani
d’Arno a tenzone.

(da "Alcyone", Treves, Milano 1904)




CANICOLA
di Cesare Rossi (1852-?)

Deh come da le viscere intime ardi,
terra arida, giallastra e sitibonda,
quale ardesti a i Crociati ed a i Lombardi.

Deh come tutti e tronchi e gambi e steli
tendono a l'alto a la benefica onda
di che pur sono palpitanti aneli.

Onde a me par d'esser sensibil fusto,
che metta rami per incantamento,
e da l'orrendo solleone adusto

soffra, o povera Terra, il tuo tormento.

(da "Intermezzo agreste", Balestra, Trieste 1904)




MEDITAZIONE ESTIVA (SUL DAVANZALE)
di Giuseppe Altomonte (1889-1905)

Come sepolta in polvere d'argento
nel mattin tardo stendesi la via;
l'anima beve per un gran fermento
nel mar di luce che il bel Sole invia.

E il dïurn'Astro che giammai ha spento
in vêr ponente i suoi cavalli avvia...
O sol che vai pel terso firmamento,
dona, oh, dona un tuo raggio a l'alma mia!

Donami un raggio. E quando il falso andare
compisci, e vien la notte, e l'ombre adduce,
e ammanta l'alma del suo negro velo,

quel raggio almen per le tenèbre amare
fiaccola ardente fia, l'unica luce
che mi permetta di fissare il cielo.

(da "Canzoniere minuscolo", Garofalo, Bitonto 1905)




ULTIMA ESTATE
di Luigi Orsini (1875-1954)

Muore segnata da stormi 
d'uccelli grigi l'estate,
mentre fra nubi affocate
migrano larve difformi.

Mutan colore le cose,
dal mare a l'ombre del bosco,
per vestir quello più fosco
che un mago ignoto compose.

Alto, con guizzi di spola,
solcano lividi lumi:
i ponti legano i fiumi
con grandi nastri viola,

e per il cielo terribile
cui neri fendono i pioppi,
rotola e romba fra scoppi
un cupo carro invisibile.

Già de l'autunno precoce
rompono i nembi crucciosi:
già i contadini ansiosi
si fanno segni di croce;

ma un dolce cuore si frange
contro tristezze più amare:
c'è, dietro i vetri, a guardare,
un bianco volto che piange.

Vede ne l'acqua che scema,
righe d'un pianto fatale
quasi un'angoscia mortale
da tutto il cielo le sprema;

e il suo dolore infinito
con quell'affanno s'accorda
poi che il passato ricorda
e un caro amore sfiorito.

Geme fra tanto l'estate:
«muore ogni cosa più bella!»
Lungi verdeggia una stella
fra poche nubi affocate.

(da "I canti delle stagioni", De Mohr, Milano 1905)




ESTATE
di Mario Venditti (1889-1964)

  Dicesti: - Il sol d'agosto m'ha bruciate
tutte le rose de 'l roseto antico...
E dopo averle a 'l zefiro sfrondate
da la veranda: - Sol, ti maledico,

sole - imprecasti - che le fai morire!

  Ed io, fra tanto, che le disseccate
rose cadute ne 'l viale aprico
raccolsi, perché avevano sfiorate
le tue manine: - Sol, ti benedico,

- dissi - o bel sole che le fai morire!

(da "Albente coelo", Perrella, Napoli 1906)




NOTTE LUNARE
di Achille Leto (1870-1963)

Su pe' silenzi della notte estiva
erra la luna. Cade dalla torre
nitidamente l'ora fuggitiva,
     l'ora che corre.

E intorno tace la campagna ai colli:
dormon le case: nel sereno albore
perdesi a volo l'anima su molli
     ali di fiore.

(da "La tibia", Spinnato, Palermo 1908)




LA VIA
di G. A. Sanguineti (?-?)

Bello è nel meriggio infocato
andar sotto il fervldo sole
sentendo le arcane parole
de l'anima.... Manda il selciato

un caldo rimbatto a i pensieri
fermi ne la solenne fronte,
solenne come un ermo fonte
rinchiuso da macigni neri.

Son fermi i pensieri, statuari;
il sangue nel cuore ristagna;
o cuore, perché non più bagna
le vene con palpiti vari?

Or più nou ritrovo la vita
mia, spersa nel sole fulgente,
nel vasto splendore lucente
dal petto socchiuso è fuggita:

il sole risplende, fiammeggia
con un desìo caldo ed acuto
e pur la mia vita à voluto
ne l'alta, infocata sua reggia;

ma ancora lo sento, è più forte
la sento. Ed insieme col sole
la vivo, siccome il Dio vuole
che disse: Divine ed assorte

potenze ài nel petto, o mio figlio,
che disse: va, pensa, combatti
e avanza! per te sono intatti
gli allori, se vinci ll periglio.

Bello è nel meriggio solare
andar col suo destino ardente,
andar per la strada silente,
che il Fato fu pronto a segnare!

(da "Il sorriso della sfinge", Montorfano e Valcarenghi, Genova 1909)




ESTATE D'OLTRARNO
di Giannotto Bastianelli (1883-1927)

I palazzi che somigliano a un convento
con gli spaziosi
cortili ombrosi
e le statue del seicento,

con le loggie aperte al vento fiesolano
e gli orti pieni
di fruscìi leni
e di sole meridiano;

le ampie chiese fresche e bianche - di calcina,
cui ripercuote-
si nelle vuote
volte ogni urto delle panche;

le botteghe d'antiquari - luccicanti
d'armi, pugnali,
croci, messali
e d'argentei reliquarî;

le viuzze silenziose - come quelle
disabitate
delle borgate
di provincia, e in cui, rissose,

voli intrecciano le rondini, calando
fulminee e gaie
dalle grondaie
ed il cielo rimbalzando;

tratto tratto il fresco soffio del maestrale
pien di lontane
voci, campane,
e d'un vago odor rurale...

... - O l'estate di Firenze erma d'oltrarno,
l'estate placida
cui rara infradicia
qualche pioggia afosa indarno!

Dolce este, tutta sole, e un poco mesta
che ovunque spande
la pace grande
che àn gli stanchi dì di festa!

lente l'ore passan come ombre di nuvole
sui campanili
alti e sottili
e sui tetti e sulle cupole.

Vien la notte. Il plenilunio allaga lenta-
mente i palazzi
gli orti, gli spiazzi
di freschezza sonnolenta,

mentre su, dalle assicelle dei balconi
scende l'odore
dei vasi in fiore
di geranio e di garofano.

(da "Dal terzo libro di poemi e musiche", Tip. Pulini, S. Giovanni Valdarno 1910)




L'ULTIMO FIENO
di Emanuele Castelbarco (1884-1964)

Come l'odor del fieno in fin d'agosto,
quando la falce miete l'ultima erba,
è acuto e tenue. Forse in sé nascosto
un ricordo e un rimpianto a noi riserba.

È nel fondo di lui vano un desio
per la lontana morta primavera,
come d'un dolce amor l'ultimo addio
in un'anima amante, che dispera.

(da "Pei sentieri della vita", Baldini Castoldi & C., Milano 1910)




FINE D'AGOSTO
di Francesco Gaeta (1879-1927)

Declina agosto: il sonno hai tu pesante,
simile ancora a 'l sonno d'un infante
cui fiaba son la notte e la civetta
ne 'l viso donna, il resto gallinetta,
ed, a lui presso, il vigile lumino
che se ne muor ne i raggi del mattino.

Domani rivedrai, di nuovo desta,
di pesche e di cocomeri una festa,
appena de i colombi il primo volo
coroni l'orologio torraiolo,
e il gallo risaluti il fresco albore,
solare uccello la cui testa è un fiore.

Sol io stanotte, sveglio, a 'l limitare
de l'orizzonte vidi già spuntare
l'autunno con sue stelle, e su i fanali
per le gole de i vichi e su i mortali,
triste, ma più ne 'l suo presentimento,
mettere un vago brivido ne 'l vento.

(dalla rivista «La Riviera Ligure», novembre 1911)




AFA
di Corrado Govoni (1884-1965)

Nel cielo soffii di deserto passano,
la sera violacea viene;
nel giardino le belle rose muoiono
olimpicamente serene.

E là nei campi di frumento plumbeo
si sentono orrendi fragori;
come uccellacci d'inferno fantastici
svolazzano rossi bagliori.

È lo scoppio dell'uragano. Franano
le nere valanghe del tuono;
la pioggia che rimbalza sulle tegole
produce un dolcissimo suono.

Fulminei nel cielo si stiracchiano
diabolici metri di fuoco;
sopra zuffe di nuvole si squassano
bandiere stracciate di croco.

Passa la raffica. Sul fienil madido
lucente d'un rosso più vivo
all'improvviso s'apre il fresco circolo
dell'arcobaleno sportivo.

Ma non è pace; se quassù è già limpido
e stemprasi l'arco, sottile,
laggiù come uno spegnitoio livido
profilasi il bel campanile.

ed un oscuro all'orizzonte seguita
percorso da un sordo romore,
come in un cuor che ha perdonato restano
residui di amaro livore.

Sul cimitero spensierato, tremule
s'accendon le stelle incorrotte,
s'accendon le fosforescenti lucciole,
e cade la splendida notte.

Oh dolce spalancar le imposte al turbine
e prima di mettersi a letto
indugiarsi col vento in faccia a attendere
danzare laggiù sopra un tetto

le incandescenti vertebre dei fulmini
e chiudersi e aprirsi nei campi
su panorami candidi di nuvole
le brecce turchine dei lampi!

(da "Poesie elettriche", Ed. Futuriste di "Poesia", Milano 1911)




UN'ESTATE...
di Riccardo Bacchelli (1891-1985)

Un'estate, che d'estate son i tramonti lenti,
pesante quant'il sonno e la stanchezza medesima,
non avrei voluto altro che riposare, se fosse stato
possibile. Non reggeva più neppure la voglia
amara d'inasprire in me stesso il mio male.
Non avrei voluto cedere in nulla, ma invece
mi toccava assopirmi al sole in materia
stanca. E dalla stanchezza un filo di melodia.
Supino, ombre e sole, foglie
e cielo, silenzio e cicale. Le mani
le abbandonavo sull'erba riarsa, si tuffava
nell'estate l'anima e tornava d'ogni parte
carica d'ogni cosa, non articolava, non distingueva,
tornava stanca. E non poté credere a sé stessa
la mattina che le filtrò un'estatica canzoncina...

(da "Poemi lirici", Zanichelli, Bologna 1914)




TORREFAZIONE
di Luciano Folgore (1888-1966)

Piazza di vetro ardente,
sollevata di colpo
negli alti forni del sole.
Papaveri di luce 
avanti alle pupille. 
Spille nel sangue. 
D’intorno le case, 
affondate 
nei marciapiedi 
liquefatti dal caldo. 
Camminare evitando 
colonne ubbriache di rosso, 
sfondare col petto 
semicerchi di solleone, 
e invidiare l’ombra di un ragnatelo 
ad un insetto addormentato. 

(da "Ponti sull'Oceano", Ed. Futuriste di "Poesia", Milano 1914)




NOTTURNINO DEI BASTIONI DEMOLITI
di Paolo Buzzi (1874-1956)

Quando la notte calda urge i viali
della città, pochi alberi schierati
sono testimoni d'anime con ali.

Amanti passan lenti estasiati:
bevon frescure che non son per l'aria
e fanno cose che non son peccati.

Io, dalla mia finestra solitaria,
guardo: e prego il Signor per i mortali
a cui la bella notte è necessaria.

(da "Bel canto", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1916)




CORTILE
di Giuseppe Lipparini (1877-1951)

Un fandango di Granados mi tempesta nel cervello;
invece è l'organetto giù nel cortile
con le ragazze e i bimbi che ballano e schiamazzano.
Meriggio caldo di estate dopo la pioggia,
raggi obliqui di sole sulle pozzanghere,
spruzzi di mota alle gonne delle ballerine.
Stracci variopinti tesi ai balconi
come note sospese sul ritmo della danza.
Una ragazza bruna in camicetta azzurra
canta e occhieggia tra i gerani
rosei rossi purpurei violacei paonazzi,
poi si spoglia e si getta nuda sul letto
tendendo l'anca tonda alla musica che circola.
A una finestra pendono le poppe
flaccide di una donna che si pettina.
Un secchio di rame oscilla
impiccato sull'orlo verde del pozzo.
Gabbie di canarini gialli
presso al merlo che fischia e che impazza.
E il fandango strepita e salta
con le coppie che sudano e si affannano,
e tutto il cortile rotola con lui,
salto mortale dell'afa meridiana
verso la frescura azzurra dell'infinito.

(da "Stati d'animo ed altre poesie", Zanichelli, Bologna 1917)




BIBITA AL GHIACCIO
di Arturo Onofri (1885-1928)

   Sotto le foglie accese della pergola, vedo rilucere i tuoi occhi verdi, come due frutti dolcemente acquosi nella fiera maturità dell'estate.
   Incurante la tua mano, dove un raggio tra la verdura sveglia dai gioielli uno straziato sorriso, scherza con la paglia dorata della ghiacciata come con un filo di sole spezzato per giuoco; e la curva di polpa delle tue labbra infantili si distende un attimo appena, nell'ombra azzurra del cappellino, svegliando dai tuoi denti di perla un assopito sapore di golfi lontani e di sangue.
   Che strana orgia di contentezza guardarti!

(da "Orchestrine", Libreria della "Diana", Napoli 1917)




NOTTE DI S. LORENZO
di Francesco Meriano (1896-1934)

Stelle a casaccio pel cielo d'estate,
stelle a manciate - un po' d'oro e d'argento -
oasi tropicali profumate
nel deserto notturno senza vento.

(da "Croci di legno", Vallecchi, Firenze 1919)


Angelo Torchi, "Grano al sole"

Nessun commento:

Posta un commento