giovedì 15 febbraio 2018

Poeti dimenticati: Mario Venditti


Nacque a Cerreto Sannita nel 1889 e morì a Napoli nel 1964. Figlio di un illustre avvocato e ottimo legale a sua volta, oltre ad intraprendere un rispettabilissimo percorso forense si distinse come politico (fu eletto senatore del parlamento italiano durante l'immediato dopoguerra) ed ebbe anche incarichi prestigiosi. Di pari passo ai suoi successi professionali si dedicò alla scrittura di poesie che pubblicò in vari volumi da quando era ancora un diciassettenne fino a un anno dalla morte. I primi versi di Venditti evidenziano una spiccata simpatia nei confronti della poesia simbolista, decadente e crepuscolare; nelle successive raccolte emerge più chiaramente un'ironia ed una giocosità che ben rappresenta l'anima disincantata del poeta campano. Nel terzo decennio del ventesimo secolo la poesia di Venditti raggiunse l'apice del suo sviluppo, e in tale periodo può ben definirsi uno dei migliori lirici italiani in circolazione.



Opere poetiche

"Albente Coelo", Parrella, Napoli 1906.
"Il terzetto", Parrella, Napoli 1911.
"Il cuore al trapezio", Taddei, Ferrara 1921.
"Una moschea sul Sagittario", Ediz. di Via Acquari, Napoli 1924.
"Il nottambulo deluso", Carabba, Lanciano 1931.
"L'uomo che cammina", Carabba, Lanciano 1940.
"Suona l'organo a San Marco", Ies, Napoli 1945.
"Lunario senza luna", Kursaal, Firenze 1953.
"I due focolari", Amicucci, Padova 1959.
"Il viaggio", Amicucci, Padova 1963.




Presenze in antologie

Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. VIII, pp. 45-51).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 643-645).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 198-199; vol. 2, p. 278).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 563-567).




Testi


LA VANA SPERANZA (SOLILOQUIO DI UN SENTIMENTALE)

Ah, che tristezza indefinita in quella
striscia di sole che mi risaluta,
baciando i vetri della finestrella.

Come per dir: - Di nuovo io son venuta,
e spero che oggi più non sia così,
come era un tempo, la tua stanza muta - !

Maggior tristezza non farebbe chi,
mentre sperava che febbricitante
non fosse più l'amico infermo un dì,
lo ritrovasse, in vece, agonizzante.

(da "Il terzetto")




LA FINE DELLE RONDINI

S'eran levate con un frullo tale
che avea mutato il volo repentino
in una tarantella a concertino
e in nacchera ciascuna coppia d'ale.

Ma, quando il cielo non fu più turchino,
allora il ritmo diventò ineguale:
ora speranza d'albero ospitale,
or nostalgia di nido non vicino.

Una ferrata antenna, animatrice
d'incudini, le filiformi braccia
tese allo sciame come salvatrice.

Ma, a pena tocca, folgorò con fiamma
occulta: e offerse alla funerea marcia
del turbine un orrendo pentagramma.

(da "Il cuore al trapezio")

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