mercoledì 30 maggio 2012

I poeti della "Scuola romana"

Chi ricorda, oggi, i poeti della Scuola romana dell'Ottocento? Se non nessuno, certo pochissimi. Eppure rileggendo le loro poesie mi sembra che non siano affatto da buttare; molti idilli dei fratelli Maccari, di Castagnola, di Gnoli e di qualche altro poeta dimenticato, non solo sono ancor oggi leggibilissime, ma trovo che siano di buono (se non ottimo) livello e che meritino di essere incluse nel meglio della produzione poetica italiana del XIX secolo.
La Scuola romana nacque all'incirca nel 1850 e si protrasse per una ventina di anni; come fa intendere la denominazione, tale scuola ebbe come sede Roma, dove alcuni intellettuali amavano ritrovarsi in luoghi come il Caffè Nuovo e il Caffè Greco. Durante le loro piacevoli riunioni si sviluppò l'idea di rinnovare la lirica italiana, troppo legata, secondo loro, ad un accademismo ormai logoro. Misero al bando perciò il Romanticismo e posero come punto di riferimento principale i poeti che nel lontano passato diedero più lustro alle nostre lettere, compresi tra il Petrarca ed il Poliziano; ma non esclusero la lirica di Giacomo Leopardi, soprattutto quella scaturita dalla sua vena più idilliaca. Nel contempo, alcuni dei poeti romani, introdussero nei loro versi alcuni elementi che potremmo definire realismo descrittivo e che, per certi versi, li portarono ad essere gli anticipatori di certa poesia posteriore.
Sui poeti della Scuola romana furono pubblicate due antologie: la prima, realizzata da uno di essi: Domenico Gnoli, s'intitola "I Poeti della Scuola (1850-1870)" e uscì nel 1913. La seconda, curata dal critico Ferruccio Ulivi, è "I poeti della scuola romana dell'Ottocento" e fu data alle stampe nel 1964. Da non trascurare anche il terzo volume della ricca antologia di Ettore Janni "I poeti minori dell'Ottocento", dove è dato largo spazio a molti componenti della scuola.
Ecco al dunque una breve bio-bibliografia dei poeti della Scuola romana.
 
 
GIUSEPPE BUSTELLI (Civitavecchia 1832 - Viterbo 1909)
Liberale, estimatore dell'Alfieri, frequentò i poeti della Scuola romana sporadicamente. Le sue liriche denotano un patriottismo sincero ed una intensa passionalità.
Opere poetiche: Canti nazionali (1859), Canti nazionali satire ed altri versi (1864).
 
AUGUSTO CAROSELLI (Roma 1853 - ivi 1899)
Amico intimo di Lodovico Parini e di Giambattista Maccari, scrisse versi d'imitazione petrarchesca. Fu anche traduttore e drammaturgo.
Opere poetiche: Versi (1870).
 
PAOLO EMILIO CASTAGNOLA (Roma 1825 - ivi 1898)
Studiò in seminario ma ne uscì ben presto dedicandosi assiduamente alla letteratura. Scrisse opere teatrali e poesie divenendo uno dei più convinti promotori della della Scuola romana, come dimostrano alcuni saggi suoi che pubblicò sulla "Rassegna Nazionale". I suoi versi denotano un classicismo popolareggiante e una vaga spiritualità.
Opere poetiche: Versi (1854), Concento (1855), Nuove poesie (1867), Poesie (1882).
 
LUIGI CELLI (Roma 1825 - ivi 1870)
Fu eccellente avvocato fino alla precoce morte dovuta alla tisi. I suoi versi, pubblicati poco tempo prima della sua dipartita, mostrano accenti macabri che in parte ricordano alcune cose di Baudelaire e di Stecchetti.
Opere poetiche: Versi (1870).
 
IGNAZIO CIAMPI (Roma 1824 - ivi 1880)
Fu avvocato, maggistrato e storiografo. Si interessò di letteratura scrivendo commedie, novelle e versi. Questi ultimi risentono di un classicismo non privo di toni umoristici.
Opere poetiche: Nuove poesie (1861), Nuovi poemetti (1871), Poesie (1880).
 
PIETRO COSSA (Roma 1830 - Livorno 1881)
Dopo alcuni anni d'insegnamento ed un periodo d'esilio dovuto alle sue idee troppo liberali, Cossa cominciò a concentrarsi sulla stesura di opere teatrali, ne scaturirono numerosi drammi storici che lo resero famoso in Italia. Fu anche frequentatore dei poeti della Scuola romana e autore di versi che ricordano molto sia alcuni idilli leopardiani, sia i soggetti storici della poesia del secondo romanticismo italiano.
Opere poetiche: Poesie liriche (1876), Poesie liriche inedite (1886).
 
ELENA GNOLI (? - ?)
Scrisse dei versi soltanto per un'esigenza interiore e per un bisogno intrinseco di esternare le sofferenze mentali e fisiche dovute alla lunga malattia che lentamente la uccise. Fu il fratello Domenco a rendere note le sue esili poesie pubblicandole nell'antologia "I Poeti della Scuola romana (1850-1870)".
 
DOMENICO GNOLI (Roma 1838 - ivi 1915)
Fu poeta eclettico, che seppe rinnovarsi e trasformarsi attraverso gli anni fino a diventare l'iniziatore di un nuovo fare poetico agli albori del XX secolo. Pubblicò alcuni volumi di versi usando degli pseudonimi. La sua adesione alla Scuola romana è documentata nel libro "Versi di Dario Gaddi", uscito nel 1870, e che possiede quelle peculiarità comuni agli altri poeti di detta scuola, ovvero una simpatia per i trecentisti e per la lirica leopardiana.
 
TERESA GNOLI (Roma 1833 - ivi 1886)
Sorella di Domenico e di Elena, cominciò a scrivere versi già a dieci anni. Nelle sue poesie, pubblicate in modo disomogeneo e mai raccolte in volume, si percepisce una rara sincerità di sentimento, mentre non c'è traccia di elementi che le possano ricondurre a scuole o tendenze di sorta.
 
LUIGI LEZZANI (Roma 1821 - ivi 1861)
Personaggio eccentrico e dalle caratteristiche romantiche, scrisse poche poesie classicheggianti, che molto attingevano dalla migliore tradizione letteraria italiana del lontano passato. Si suicidò compiuti i quarant'anni.
Opere poetiche: Poesie e lettere (1862).
 
GIAMBATTISTA MACCARI (Frosinone 1832 - Roma 1868)
Laureatosi in giurisprudenza, iniziò a lavorare a Roma, ma senza riuscire a tirarsi fuori da una povertà che coinvolgeva l'intera famiglia (aveva cinque fratelli) e che ricadde per intero sulle sue fragili spalle. Malato, avvilito da troppi lutti (dopo i genitori gli morirono anche due fratelli minori), Giambattista Macari si spense a soli trentasei anni dopo una vita di stenti e sofferenze. Poeticamente rappresenta il livello più alto raggiunto dalla Scuola romana. I suoi versi posseggono elementi che molto ricordano il miglior Leopardi.
Opere poetiche: Poesie (1856), Nuove poesie (1869).
 
GIUSEPPE MACCARI (Frosinone 1840 - Roma 1867)
Fratello di Giambattista, fu un appassionato studioso di letteratura greca e della poesia di Giacomo Leopardi; ciò è dimostrato anche dai suoi versi: semplici e limpidi, in cui spicca una preferenza per la descrizione di paesaggi con l'uso di modalità poetiche ritrovaabili nei grandi idilli leopardiani. Malato, morì a soli ventisette anni.
Opere poetiche: Poesie (1865), Poesie e lettere (1867).
 
CARLOTTA MARCUCCI (? - ?)
Moglie di Lodovico Parini, pubblicò i suoi versi insieme a quelli del marito scomparso da circa un anno. Fu attratta dalla poesia petrarchesca e, più in generale, dai grandi classici italiani.
Opere poetiche: Poesie (con Lodovico Parini, 1869).
 
ACHILLE MONTI (Roma 1825 - ivi 1879)
Figlio del pittore Giovanni che a sua volta era nipote del letterato Vincenzo, fu poeta classicista e pariniano. Nelle sue odi e nei suoi sonetti si riflette spesso un profondo rimpianto per un passato migliore del presente.
Opere poetiche: Odi (1856), Scritti in prosa ed in versi (1885).
 
FABIO NANNARELLI (Roma 1825 - Corneto Tarquinia 1894)
Liberale, combattè a favore della Repubblica romana. Fu precettore in casa Ruspoli e poi insegnante all'Accademia scientifica e letteraria di Milano. Come poeta si ispirò al Leopardi e ai trecentisti.
Opere poetiche: Poesie (1853), Nuove poesie (1856).
 
ETTORE NOVELLI (Velletri 1822 - ivi 1900)
Poeta di vena satirica e patriottica, attirò l'attenzione del Carducci, che ne lodò la ricchezza della lingua. I suoi versi posseggono anche larghe tracce di classicità e di un anticlericalismo portato a livelli di sguaiatezza.
Opere poetiche: Mnasylus (1880), Cromi (1881), Egle: La naiade e i satiri (1894).
 
LODOVICO PARINI (Roma 1838 - ivi 1868)
Studente, frequentò le lezioni di Luigi Maria Rezzi e conobbe, passando spesso per il "Caffé Nuovo", alcuni tra i poeti della Scuola romana. Pubblicò un solo volume di poesie insieme alla compagna Carlotta Marcucci, dove traspare la sua predilezione per i classici italiani del Trecento.
Opere poetiche: Poesie ( con Carlotta Marcucci, 1869).
 
GIOVANNI TORLONIA (Roma 1831 - ivi 1858)
Viaggiò molto attraverso l'Europa acquisendo un'educazione aperta e una cultura particolarmente varia e approfondita. Amò studiare e praticare discipline assai diverse tra loro. S'interessò anche di poesia, stringendo amicizie coi poeti della Scuola romana e scrivendo dei versi che, seppure s'inseriscano nelle modalità della Scuola, mostrano elementi distinti e distanti.
Opere poetiche: Poesie (1856).

martedì 29 maggio 2012

Da "Dio è la mia speranza" di Alessandro Emiliani

Giunto in età avanzata, ho constatato che tutto crolla intorno a me e che io stesso mi avvicino ogni giorno alla morte. L'unico che non crolla è Dio. So che Dio mi ama, che è la mia sola e valida speranza. A lui posso affidare la mia vita. Egli la custodirà trasformata per la vita eterna. Per questo motivo nell'ultimo tratto del mio cammino terreno ho concentrato il mio interesse sulle realtà escatologiche.
Ho scritto queste pagine col pensiero rivolto a Dio, in atteggiamento di preghiera lasciandomi guidare dalla ispirazione dello Spirito Santo, senza un piano prestabilito. Consegno queste mie pagine a te, caro lettore. Spero che ti possano giovare per renderti più consapevole che il nostro ultimo traguardo non è su questa terra, ma nell'aldilà, in unione con Dio che ci attende. Dio è la nostra speranza. Non dimentichiamolo mai.


(Da "Dio è la mia speranza" di Alessandro Emiliani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1997, p. 5)

domenica 27 maggio 2012

Il ballo (o la danza) nella poesia italiana decadente e simbolista

Il ballo e la danza ricorrono spesso nelle poesie dei simbolisti e dei decadenti; per ciò che riguarda la simbologia, ogni tipo di danza ha la sua: per esempio un ballo settecentesco come il minuetto è riferito alla nobiltà, all'eleganza ed alla galanteria che, nel caso della poesia crepuscolare, si collega anche ad un rimpianto del passato; la danza del ventre ha ovviamente a che fare con l'erotismo se non con la lussuria, in questa categoria è spesso presente una figura biblica quanto mai determinante e affascinante: Salomè; il valzer ha a che vedere con la passione e l'amore con conseguente riferimento ai tempi (anch'essi rimpianti) del romanticismo. Non mancano le cosiddette "danze macabre" i cui protagonisti sono gli scheletri ed altre forme che si rifanno all'orrido e al terrificante, settore in cui primeggiano le poesie di Graf e di Rubino. Parlando poi più in generale, bisognerebbe aggiungere che la danza spesso e volentieri si ricollega ad un istinto primitivo dell'uomo, il quale si manifesta col movimento sincronizzato con l'ascolto di una musica o di un rumore ritmico, e che esterna sensazioni di allegria o euforia.


 
Poesie sull'argomento 

Mario Adobati: "Il ballo in nero" e "Partenza per il ballo" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "La festa" in "La città di Vita" (1896).
Massimo Bontempelli: "Danza allo specchio" in «La Brigata», ottobre-novembre 1916.
Paolo Buzzi: "Festa da ballo" in "Bel canto" (1916).
Enrico Cavacchioli: "Danza macabra" in "L'Incubo Velato" (1906).
Enrico Cavacchioli: "Danza del ventre" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Luigi Donati. "La danza tormentosa" in "Poesia di passione" (1928).
Arturo Graf: "Le Danzanti" e "La danza dello scheletro" in "Le Danaidi" (1905).
Gian Pietro Lucini: "La danza d'amore" in "Cronaca d'Arte", gennaio 1897.
Gian Pietro Lucini: "La collana" in "Poesia", marzo 1908.
Gian Pietro Lucini: "La danza sacra" in "Poesia", aprile 1908.
Gian Pietro Lucini: "La pifferata", "La danza d'amore", "La furlana", "La danza del ventre" in "Le antitesi e le perversità" (1971).
Olindo Malagodi: "La eterna danza" in "Poesie vecchie e nuove (1890-1915)" (1928).
Nicola Marchese: "Minuetto" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "La danza di Fauno" in "Liriche" (1904).
Ettore Moschino: "Salomè" in "I Lauri" (1908).
Aldo Palazzeschi: "Gavotta di Kirò" in "Lanterna" (1907).
Guido Ruberti: "La danza" in "Le fiaccole" (1905).
Antonio Rubino: "Danza delle mani amputate" in "Versi e disegni" (1911).
Federigo Tozzi: "Ecco la danza delle nudi estati" in "La zampogna verde" (1911).
Mario Venditti, "La danza senza perché" in "Il cuore al trapezio" (1921).
 
 
 
Testi

LA DANZA D'AMORE
di Gian Pietro Lucini

Sotto ai miti splendori
delle notti serene
sorgono, coll’incanto, le Sirene
brune a comporre le strofe ed i cori.
Van pel calmo giardino
che la rugiada bagna,
da che la viola ride e trilla il ribechino.
Io lo so, sotto le piante odorose
stanno i molli giacigli, stanno i grati refugi;
io lo so, che tra i gigli e le rose
ride propizio il Nume.

Or voi le udite, queste mie note,
cantano d’amore, cantano.
La Dama e il Cavaliere vanno lontano,
sotto alla volta verde dei laureti.
- «Respiriamo, Signora,.» -
li aromati capziosi e inebrianti,
che da i calici i fiori, come bracieri di giada,
inalzano, Signora:
inebriamoci del vino
dolce che spreme la bionda Citerea
dalle turgide grappe raccolte nella vigna del piacere;
inebriamoci, Signora
La Dama e il Cavalier vanno lontano,
lontan’ sotto alla volta verde dei laureti.

Or voi le udite queste mie note,
cantano d’amore, cantano.
- «Oh perché mai, Signora,» -
l’occhi miei s’affisano nei vostri;
oh perché mai Signora,
freme la vostra mano nella mia?
Guardate, noi sempre danzeremo,
così, fino all’aurora;
e domani e dopo e poi?
Non credete al futuro; non temetelo mai.
Siete stanca Signora?
Or voi le udite, queste mie note
son domande d’amanti.
- «Che importa? Non fuggono i vostri occhi i miei imploranti.» -
Lasciatevi guardar bella e sincera. Temete?
Di che temete? Nel giardin’ delle fate viaggiamo;
senti, bambina, non è questa la vita?
Viaggiam, viaggiam lontano
per la terra del sogno,
per le regioni immense, arcane, eterne dell’irreale.
Non è un sogno la vita? Ed è un inganno il sogno?
Sì: ma se noi, bambina, non ci destassimo mai?
Or voi le udite, queste mie note;
son baci le note.

La Dama e il Cavalier vanno lontano,
lontan’ sotto alla volta verde dei laureti:
e nei miti splendori
delle notti serene
la danza e il ritmo sperdonsi sonori,
sulle rose,
amorose,
sbocciate nei cespugli e appassite tra i seni
candidi e sodi:
La mia nota si muore.

(Da "Le Antitesi e le Perversità")

venerdì 25 maggio 2012

Antologie: "Poesia italiana dell'Ottocento"


"Poesia italiana dell'Ottocento" è un volume antologico, curato da Maurizio Cucchi, e pubblicato dalla Garzanti di Milano nel 1978. È la penultima opera della collana "I grandi libri Garzanti" dedicata ai poeti italiani attivi tra il XIII ed il XX secolo, ed è praticamente l'ultima, cronologicamente parlando, che si occupa dei poeti minori del secolo XIX. Infatti, anche se nel titolo questo dettaglio non è specificato, non compaiono, tra i nomi degli scrittori selezionati, tutti i grandi poeti (Foscolo, Manzoni, Leopardi, Giusti, Carducci, Pascoli e D'Annunzio) ai quali la casa editrice dedicò dei volumi a parte. L'ordine in cui compaiono i 46 poeti presenti è cronologico; il motivo di tale scelta è spiegato nell'introduzione e consiste nel fatto che, come dice espressamente il curatore:

«Diversa è l'esigenza di un rapido e forzatamente sommario excursus sulla poesia del XIX secolo da quella di una lettura dei testi, che va affrontata possibilmente sgombra da ogni prevenzione e pregiudizio (per quanto sia possibile o per quanto la stessa introduzione consenta) cercando il momento di autentica comunicazione con la pagina poetica, rifiutando quindi una perlustrazione diffidente o eccessivamente guidata e volta a rinnovata o riproposta classificazione storica di autori e generi».

In effetti, sfogliando le 500 pagine dell'antologia in questione, si nota che l'opera non cerca certamente l'onnicomprensività, pur non limitandosi ad una scelta troppo drastica e avara. Ogni poeta è presentato in modo piuttosto completo, senza esagerazioni o, al contrario, limitazioni di sorta. Qualche dubbio può nascere dalla decisione di includere alcuni poeti ed escludrne altri di valore pressoché uguale; per esempio, limitandoci all'ambito del secondo Ottocento, la presenza di un carducciano come Giovanni Marradi presupporrebbe anche quella di Guido Mazzoni; come pure, al di là delle etichette e dei movimenti, se figura il nome di Edmondo De Amicis, che è ricordato soprattutto per opere non poetiche, è difficile capire l'esclusione del siciliano Giuseppe Aurelio Costanzo, poeta che ebbe un'importanza sicuramente superiore (come autore di versi ovviamente) rispetto allo scrittore piemontese.
Il merito maggiore di quest'antologia, come dicevo all'inizio, è identificabile nel fatto che comprende nomi ormai del tutto ignorati da opere similari recenti e recentissime. Ora, è per me inspiegabile un fatto di tal genere. Come è possibile infatti inserire in un'antologia che vorrebbe rappresentare i migliori poeti di un secolo, alcuni nomi soltanto perché questi hanno fatto parte di movimenti e scuole, seppure importanti, ed escludere altri nomi, di gran lunga più meritevoli rispetto ai primi, per il semplice motivo che ne sono rimasti estranei? Non considerare affatto, parlando della poesia italiana dell'Ottocento, scrittori come Domenico Gnoli, Olindo Guerrini e Arturo Graf, significa a mio avviso ignorare una delle principali fonti cui attinsero i cosiddetti poeti crepuscolari (Guido Gozzano in primis), coloro cioè che fecero da trait d'union tra la poesia ottocentesca e quella d'inizio Novecento.
Ecco infine l'elenco dei poeti compresi in quest'antologia.
 
Vincenzo Monti, Filippo Pananti, Giovanni Torti, Gabriele Rossetti, Giovanni Berchet, Tommaso Grossi, Giovita Scalvini, Bartolomeo Sestini, Antonio Guadagnoli, Luigi Carrer, Alessandro Poerio, Niccolò Tommaseo, Cesare Betteloni, Francesco Dall'Ongaro, Agostino Cagnoli, Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Arnaldo Fusinato, Vincenzo Padula, Giacomo Zanella, Luigi Mercantini, Goffredo Mameli, Costantino Nigra, Giambattista Maccari, Vincenzo Riccardi di Lantosca, Enrico Nencioni, Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti, Domenico Gnoli, Enrico Panzacchi, Vittorio Betteloni, Giuseppe Maccari, Arrigo Boito, Antonio Fogazzaro, Mario Rapisardi, Giovanni Camerana, Olindo Guerrini, Edmondo De Amicis, Arturo Graf, Contessa Lara, Remigio Zena, Giovanni Marradi, Vittoria Aganoor Pompilj, Severino Ferrari, Pompeo Bettini, Adolfo De Bosis.

mercoledì 23 maggio 2012

Da "Un uomo finito" di Giovanni Papini

Io nono sono mai stato un bambino. non ho avuto fanciullezza.
Calde e bionde giornate di ebbrezza puerile; lunghe serenità dell’innocenza; sorprese della scoperta quotidiana dell’universo: che son mai? Non le conosco o non le rammento. L’ho sapute da libri, dopo; le indovino, ora, nei ragazzi che vedo: l’ho sentite e provate per la prima volta in me passati i vent’anni, in qualche attimo felice d’armistizio o di abbandono. Fanciullezza è amore, letizia, spensieratezza ed io mi vedo nel passato, sempre, separato, triste, meditante.
Fin da ragazzo mi son sentito tremendamente solo e diverso - né so il perché. Forse perché i miei eran poveri o perché non ero nato come gli altri? Non so: ricordo soltanto che una zia giovane mi dette il soprannome di vecchio a sei o sett'anni e che tutti i parenti l'accettarono. E difatti me ne stavo il più del tempo serio e accigliato: discorrevo pochissimo, anche cogli altri ragazzi; i complimenti mi davan noia; i gestri¹ mi facevan dispetto; e al chiasso sfrenato dei compagni dell'età più bella preferivo i cantucci più riparati della nostra casa piccina, povera e buia. Ero, insomma, quel che le signore col cappello chiamano un «bambino scontroso» e le donne in capelli «un rospo».

(Da "Un uomo finito" di Giovanni Papini, Libreria della Voce, Firenze 1913, pp. 3-4)


NOTE
1) Gestri: Atti o garbi affettati, svenevoli , leziosi.
 

lunedì 21 maggio 2012

"Armonia in grigio et in silenzio" di Corrado Govoni

Corrado Govoni nel 1903

"Armonia in grigio et in silenzio" è il titolo della seconda raccolta poetica di Corrado Govoni (Tàmara 1884 - Lido dei Pini 1965) che, come la prima (intitolata "Le fiale") uscì nel 1903 presso l'editore Lumachi in Firenze. Si tratta della prima opera in versi che possa definirsi crepuscolare, è in questo libro infatti che compaiono una serie di elementi caratteristici di tale poesia che Govoni in gran parte utilizzò per primo, pur ispirandosi alla lirica dei tardo-romantici e dei simbolisti francesi e belgi, conosciuti dai poeti crepuscolari sia perché letti direttamente, sia perché un altro poeta italiano: Gabriele D'Annunzio, li aveva praticamente saccheggiati nel comporre i versi del libro "Poema paradisiaco", pubblicato nel 1893 e certamente noto a Govoni e agli altri poeti crepuscolari. Senza dubbio il poeta straniero che più si ritrova presente nell'opera govoniana è il belga Georges Rodenbach, autore di volumi in versi e, soprattutto del romanzo "Bruges la morta", dalle atmosfere decadenti e malinconiche, vicinissime a quelle di "Armonia in grigio et in silenzio". L'operazione di Govoni fu in sostanza far diventare la sua città: Ferrara, ciò che era Bruges per Rodenbach. Ecco allora il motivo per cui nei versi di "Armonia" è facile trovare giornate piovose, campane che suonano tristemente a morto, suore che escono ed entrano dai loro conventi, strade deserte, lumicini fiochi, chiese, santuari, cimiteri, lapidi e tanto altro ancora che si può ritrovare facilmente leggendo il romanzo citato di Rodenbach, nonché molte delle sue poesie. A questi elementi distintivi bisogna aggiungere un immancabile clima di malinconia e di tedio.
"Armonia in grigio et in silenzio" si apre con una dedica al gatto del poeta, cui seguono quattro sezioni che sono: CANTO FERMO, LA FILOTEA DE LE CAMPANE, ROSARIO DI CONVENTI, LA CERTOSA; ogni sezione contiene da un minimo di quindici ad un massimo di trentuno poesie (per un totale di novantuno), molte delle quali sono senza titolo.
Una ristampa anastatica del raro e prezioso libro di Govoni fu pubblicata a Milano dall'editore Scheiwiller nel 1989 (vedi immagine in basso), un'altra edizione uscì nel 1993 presso l'editore Palomar di Bari.

Piatto anteriore del volume: "Armonia in grigio et in silenzio" di Corrado Govoni, edizione anastatica ristampata da Scheiwiller, Milano 1989


giovedì 17 maggio 2012

Poeti dimenticati: Gino Novelli

Gino Novelli (il cui vero nome era Gaetano Ciulla) nacque a Barrafranca nel 1899 e morì a Catania nel 1975. Visse sempre in Sicilia, svolgendo a pieno l'attività di letterato e collaborando sia a riviste che a quotidiani locali come "La Tradizione" e "Il Giornale di Sicilia". Fu poeta sostanzialmente religioso mostrando nei suoi versi la sua predilezione per la semplicità stilistica e per l'umiltà degli argomenti trattati; mise così al centro della sua produzione letteraria i migliori valori del cristianesimo, religione che il Novelli abbracciò in toto, anche nella vita di tutti i giorni.
 
 


Opere poetiche

"Tremori", Società Libraria O. Fiorenza, Palermo 1923
"Rosario", Studio Editoriale Moderno, Catania 1923
"Fiamma votiva", Novale, Palermo 1929
"Migliore stella", La Tradizione, Palermo 1931
"In fondo alle tenebre", Emiliano Degli Orfini, Genova 1934
"Finestre sulla notte", Intelisano, Milano 1938
"Colloqui", Ed. del Girasole, Roma 1950
"L'Angelo", Rebellato, Padova 1956
"Fiume della mia vita", Rebellato, Padova 1963
 
 

Presenze in antologie

 
"La poesia italiana di questo secolo", a cura di Pietro Mignosi, Ciclope, Palermo 1929 (pp. 253-254)
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 295-302).
 

 
Testi

FUGGIRE

Mille demonii s'arroventano le carni
con tridenti infuocati.
Lo strazio è grande.
Mio padre, mia madre, la sorella muta
mi consolano.

Il mio letto è coronato di lacrime.
Il mio dolore è dolore per tutti.

Bisogna che io fugga.
Bisogna che io vada a morire lontano.

Solo.
Senza acqua,
senza cibo,
senza vesti.
Solo.

Come muoiono tanti fratelli ignoti:
orfani,
mendicanti,
pazzi.
Così i miei gemiti saranno ascoltati
solo dal Padre.

Così potrò sentirmi veramente figlio Suo,
come tutti i fratelli abbandonati,
e morire fra le Sue braccia dolcemente.

(Da "Migliore stella")