lunedì 15 febbraio 2016

Il fuoco nella poesia italiana decadente e simbolista

In molti casi il fuoco si esplicita tramite un rogo che sempre ha il compito di distruggere cose, pensieri, illusioni e persino gli autori dei versi, i quali tramite il fuoco che tutto brucia intendono liberarsi di ciò che li fa soffrire, fosse anche la loro esistenza. In altri casi il fuoco ha una funzione magica (ad esempio nella poesia di Betti) e serve ad evidenziare una pulsione (probabilmente sessuale) o, comunque, una forte passione. Altrove (Giorgieri Contri) il fuoco del tramonto fa rinascere le "vampe" di un amore morto; Arturo Graf vede nei fuochi fatui dei cimiteri la propria anima che precocemente si spegne nell'infinità. Esistono infine casi di descrizioni di luoghi fantastici dove il fuoco (custodito, invadente, onnipresente) può rappresentare vari, misteriosi simboli.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Pomeriggio di decembre ai Monti Parioli" in "La città di Vita" (1896).
Alfredo Baccelli: "Il rogo" e "Ultime veglie" in "Fiamme e tenebre" (1910).
Ugo Betti: "Il fuoco" in "Il Re pensieroso" (1922).
Giovanni Camerana: "Il rogo" in "Poesie" (1968).
Carlo Chiaves: "Distruzione inutile" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini, "La vana lotta", in "L'urna" (1900).
Lionello Fiumi: "Fiamma di candela" in "Polline" (1914).
Aldo Fumagalli: "Per rinascere" in "Arcate" (1913).
Cosimo Giorgieri Contri: "Foco non spento" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Arturo Graf: "Fuochi fatui" in "Morgana" (1901).
Arturo Graf: "Alla fiamma" in "Le Rime della Selva" (1906).
Remo Mannoni: "Il rogo" in «Il Trionfo d'Amore», maggio 1903.
Nicola Marchese: "Ballata della notte, 5" in "Le Liriche" (1911).
Marino Marin: "I genii nei silenti penetrali" in "Sonetti secolari" (1896).
Arturo Onofri: "Potenze d'aria crollano..." in "Terrestrità del sole" (1927).
Nino Oxilia: "Fuoco superbo che dall'ombra enorme" in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Palazzo Mirena" in "Lanterna" (1907).
Giuseppe Zucca: "Le fiaccole" in "Io" (1921).



Testi

POMERIGGIO DI DECEMBRE AI MONTI PARIOLI
di Diego Angeli

Dentro la selva brilla ancora un fuoco.

Bacche vermiglie stanno in cima ai rami
degli agrifogli sul colle selvoso;
i tordi dentro i lecci hanno richiami,
nel plumbeo tramonto accidioso.
Ondeggia un bianco fumo tortuoso
da un focolare ove non è più fuoco.

Chi accese mai quel rogo moribondo?
Forse quelli che vennero a tagliare
gli agrifogli che debbono il giocondo
albero di Natale inghirlandare?
L'albero luminoso nelle chiare
stanze allietate da un immenso fuoco.

L'ultime luci e l'ultimo bagliore
del triste focolare semispento:
s'agita a poco a poco nel mio cuore
il bel sogno infantile di un momento.
Stasera ascolterò gemere il vento
leggendo un vecchio libro a canto al fuoco.


(Da "La città di vita")



Arnold Böcklin, "Heiliger Hain"

venerdì 29 gennaio 2016

Le fontane nella poesia italiana decadente e simbolista

Le fontane nella quasi totalità dei casi simboleggiano la vita nelle sue più importanti espressioni: fecondità, giovinezza, rinnovamento. I versi di tantissimi poeti orbitanti intorno alla corrente simbolista-decadente-crepuscolare si popolarono di fonti, fontanelle e fontane, delle volte anche in modo parodico (si legga ad esempio "La fontana malata" di Aldo Palazzeschi); in queste composizioni, assai spesso, le fontane si trovano in giardini o parchi pieni di muffe, foglie morte ed erbe infestanti, e sono disseccate; il significato di questo contesto, ovviamente, riflette uno stato di profondo malessere e di un'accentuata depressione malinconica: i poeti mostrano in questo modo di non aver più alcuno slancio vitale e di essere immersi in una desolante tristezza senza via d'uscita.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "A una fonte" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Umberto Bottone: "A una fontana" in "Lumi d'argento" (1906).
Giuliano Donati Pétteni: "Similitudine" in "Intimità" (1926).
Alfredo Galletti: "Fonte montana" in "Odi ed elegie" (1903).
Corrado Govoni: "La fontana" in "Le Fiale" (1903).
Arturo Graf: "La fontana di gioventù" in "Medusa" (1990).
Arturo Graf: "Picciola fonte" in "Morgana" (1901).
Arturo Graf: "Fonte romantico" in "Le Danaidi" (1905).
Giuseppe Lipparini: "Sonetto alla ottava" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "Di «Una Fontana»" in "Le Antitesi e le Perversità" (1971).
Pietro Mastri: "Le acacie della fonte" in "L'arcobaleno" (1900).
Arturo Onofri: "Le fontane" in "Poemi tragici" (1908).
Angiolo Orvieto: "La fonte" in "La primavera della cornamusa" (1925).
Aldo Palazzeschi: "La fonte del bene" in "I cavalli bianchi" (1905).
Guido Vitali: "Fontana solitaria" in "Voci di cose e d'uomini" (1906).



Testi

A UNA FONTE
di Diego Angeli

Fontana muta nel misterioso
bosco di questa gran villa che appare
chiusa nell'imminente albor lunare
come la viva immagin del riposo.

Tu vedesti il suo bel volto pensoso
su te piegarsi in atto di ascoltare
se mai dal fondo di tue linfe chiare
giungesse l'eco d'un singulto ascoso.

Non mai credo Aretusa un più profondo
dolore espresse, allor che tra la verde
erba svanì del dolce amante in traccia!

Ma io chino su te, cerco nel fondo
bacino ove l'opaca ombra si perde
se ancor vi arrida la sua bianca faccia.

(Da "L'Oratorio d'Amore", 1904)





A UNA FONTANA
di Umberto Bottone (Auro d'Alba)

Sempre la stessa, eterna litania,
sempre le gemme d'auro e d'argento
rutilanti una vecchia melodia.

O fontana di perla, o incantamento
di linfe piorne di tra bianche spume
ne l'alveo dolcemente sonnolento.

Nel mio piccolo cuor piange ogni lume
di vita, io vado sotto la carezza
del ciel: mi porta non so più qual fiume...

Fontanella di rose, o tenerezza
notturna, che il mio cuore imparadisa,
che non si muore, dimmi, di tristezza?

Oh, morir fra le tue perlucce, in guisa
d'esser baciato da le cristalline
onde che in cielo ogni diamante fisa!

Morire fra le braccia de le ondine
voluttuosamente, in una sera
di maggio, fra ghirlande turchesine,

e sognare una morta primavera;
gloria d'un cielo che ora invano agogno,
al lume incerto di pallente cera:
nato pel sogno, morto per il sogno!


(Da "Lumi d'argento", 1906)


Arnold Böcklin, "Nymph by the fountain"

lunedì 26 ottobre 2015

Le foglie nella poesia italiana decadente e simbolista

Le foglie, quasi sempre caduche, cadute, gialle e morte rappresentano la precarietà dell'esistenza; in questo senso fece scuola una poesia di Paul Verlaine: "Chanson d'automne", nei versi: «Et je m'en vais / au vent mauvais / qui m'emporte / deçà, delà / pareil à la / feuille morte». Fu quindi Giuseppe Ungaretti, nei versi di guerra de "Il porto sepolto", che, per indicare in modo netto la situazione incerta dei soldati sul fronte scrisse: «Si sta come / d'autunno / sugli alberi / le foglie». Pochissime sono le eccezioni, una di esse è "Mormorio di foglie" di Paolo Buzzi: qui le foglie degli alberi, smosse dal vento, producono un rumore piacevole, simile ad uno strumento musicale capace di creare un'armonia paradisiaca, fuori dal tempo; sono perciò simbolo dell'ultraterreno. Altra eccezione è quella della poesia di Giuseppe Altomonte: "Sono povere foglie", in cui il poeta paragona i suoi versi alle foglie cadute, seguendo un discorso, pienamente crepuscolare, di smitizzazione della poesia. 




Poesie sull'argomento

Giuseppe Altomonte: "Le foglie" in «Marforio», dicembre 1903.
Giuseppe Altomonte: "Sono povere foglie!" in "Canzoniere minuscolo" (1906).
Diego Angeli: "Orto botanico" in "La città di Vita" (1896).
Paolo Buzzi: "Mormorio di foglie" in "Aeroplani" (1909).
Ugo Fiore: "Foglie erranti" in «La Settimana», novembre 1903.
Aldo Fumagalli: "I nove tocchi" in "Arcate" (1913).
Diego Garoglio: "Una foglia si stacca..." in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Ugo Ghiron: "Foglie" in "Poesie (1908-1930)" (1932).
Emilio Girardini: "Foglia secca" in "Liriche varie" (1908).
Alessandro Giribaldi: "Messaggio doloroso" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Domenico Gnoli: "Nel viale" in "Jacovella", Treves, Milano 1905.
Arturo Graf: "Ultime foglie" in "Morgana" (1901).
Achille Leto: "Foglie d'autunno" in "Piccole ali" (1914).
Mattia Limoncelli: "Torpore" in "Faro senza luce", Treves, Milano 1922.
Giuseppe Lipparini: "Le foglie" in "I canti di Mèlitta", Puccini, Ancona 1910.
Nicola Marchese: "Ballata d'autunno, 4" e "Ballata grigia" in "Le Liriche" (1911).
Marino Moretti: "Hortus incultus" in "Poesie scritte col lapis" (1910).
Domenico Oliva: "La musica sonora" in "Il ritorno", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1895.
Giovanni Pascoli: "Foglie morte" in "Canti di Castelvecchio" (1903).
Francesco Pastonchi: "Ballo a Villa d'Este" in "I versetti" (1930).
Francesco ed Emilio Scaglione: "Cadon le foglie..." in "Limen" (1910).
Luigi Siciliani: "Come foglie" in "Modes", Roma 1906.
Diego Valeri: "Foglie, giù foglie!..." in "Umana" (1916).
Mario Venditti, "La raffica" in "Il terzetto" (1911).
Guido Vitali: "Ultime foglie" in "Voci di cose e d'uomini" (1906).




Testi

I NOVE TOCCHI
di Aldo Fumagalli

Lugubri nella notte... nel silenzio
Cadon le foglie su le vecchie foglie
Senza rumore, e il vento non bisbiglia
Una voce fra i rami di betulla.
Cadon lenti da l'alto i nove tocchi,
Lenti e lugubri ad annunciar la Morte.
Cadon le foglie, cadon le vite
Ne l'abisso infinito e sconosciuto.
Taccion i boschi come riverenti
Al passare de l'anime, al dolore
Che sale da le spoglie inanimate!

(Da "Arcate")




FOGLIA SECCA
di Emilio Girardini

Spinta a vortici dal vento,
che a novembre i tralci spoglia,
con un esile lamento
mi perseguita una foglia.

Se talora anco s'arretra,
nuova raffica mi porta
sul cammin la vista tetra
de la foglia arida e morta;

de la foglia che m'insegue
e mi crepita alle spalle
mano a mano, a brevi tregue,
pel sentier che mena a valle.

Sotto grigia aria di neve
e tra strida aspre di corvi,
mentre l'ora da la pieve
batte e ascende i cieli torvi,

va la foglia, mi spaura,
mi rincorre su la traccia
ed un gel di sepoltura,
tutto brividi, mi agghiaccia.


(Da "Liriche varie")



Lucien Levy Dhurmer, "The gust of wind"

giovedì 15 ottobre 2015

I fiumi nella poesia italiana decadente e simbolista

Avevo già dedicato un post alle "acque correnti", in cui, oltre a specificare che, col loro movimento continuo, esse simboleggiavano una situazione in divenire, elencavo una serie di poesie dedicate a ruscelli, canali, torrenti e cascate. Per i fiumi è giusto fare un discorso a parte perché, pur essendo anch'essi corsi d'acqua, la loro mole è incomparabile; quindi, nei versi dei poeti simbolisti e decadenti, possono rappresentare anche qualcosa di differente rispetto agli altri. Per esempio, leggendo alcune poesie, si nota l'importanza della sacralità di alcuni fiumi (il Gange e il Giordano per esempio, o, nell'ambito del fantastico, l'Acheronte) che indirizza il tutto verso un discorso prettamente mistico, attinente alla purificazione, soprattutto se qualcuno si bagna nelle acque di un fiume ritenuto sacro. Al contrario, seppure in rari casi, il fiume può divenire una specie di cloaca, che raccoglie tutta una serie di negatività cittadine; è questo il caso di "Contro il Tevere" di Auro d'Alba, in cui il poeta, dopo aver elencato tutte le nefandezze che si scaricano sulle acque del fiume, si scaglia in modo netto contro il Tevere, dichiarando tutto il suo livore in codesti versi: «T'odio, maestro di necrofilia! / per il fascino vischioso della tua melma / gialla - / per il fetore di stalla / che da' tuoi gorghi sale: / - odor di funerale acre basilicale / bava bava bava - / per il grido convulso di chi ti bevve / sino a vuotarsi l'anima» [...] Il fiume inoltre, proprio perché trascina con sé una enorme quantità d'acqua, spesso ha attinenza con la vita, che scorre in modo continuo, fino a giungere alla foce (ovvero la morte).  



Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "Il tedio sul fiume" e "Il fiume della tristezza" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "Il bagno" e "Verso la foce" in "La città di Vita" (1896).
Antonino Anile: "Il vecchio" in "Poesie" (1921).
Gustavo Brigante-Colonna: "Il fiume" in "Gli ulivi e le ginestre" (1912).
Giovanni Camerana: "Augustal Reno, vasto e lento Reno" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cena: "Il gorgo" in "Homo" (1907).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Il fiume" in "I canti di Pan" (1920).
Sergio Corazzini: "Ballata del fiume e delle stelle" in "L'amaro calice" (1905).
Auro D'Alba: "Contro il Tevere" in "Baionette" (1915).
Gabriele D'Annunzio: "La visione" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona: "Poesia" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Luigi Fallacara: "Nel fiume di vita" in "Illuminazioni" (1925).
Diego Garoglio: "Il fiume eterno" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Corrado Govoni: "Crepuscolo sul Tevere" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Corrado Govoni "I fiumi e il mare" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "O sacro Gange" e "L'iride" in "Le Danaidi" (1905).
Gian Pietro Lucini: "Ancora il fiume" in "Il Libro delle Imagini terrene" (1898).
Gian Pietro Lucini: "Barcarola sul Reno" in "Le antitesi e le perversità" (1970).
Remo Mannoni: "Notte sul Tevere" in "Rime dell'Urbe e del Suburbio" (1907).
Marino Marin: "Da tutte parti traggono..." in "Sonetti secolari" (1896).
Tito Marrone: "Acheronte" in "Liriche" (1904).
Arturo Onofri: "Il fiume" in "Poemi tragici" (1908).
Angiolo Orvieto: "Fantasia" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "O triste fiume dall'onda sonora" in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Lo specchio delle civette" in "I cavalli bianchi" (1905).
Enrico Panzacchi: "Su la riva tranquilla" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "Il ponte" in "Myricae" (1900).
Giovanni Tecchio: "Il fiume" in "Canti" (1931).
Domenico Tumiati: "Fiume" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Remigio Zena: "Sul Nilo" in "Le Pellegrine" (1894).



Testi

IL FIUME
di Giovanni Alfredo Cesareo

Spesso l'anima mia risale il fiume
Rapido de' ricordi, che bruisce
Fioco, tra lunghe strisce
D'ombra, nel fuggitivo occiduo lume;
Ed io discerno, su le tenui spume,
Ora un morto sorriso, ora una fronda
Secca, ora il reo bitume
D'un odio, ora una rosa vagabonda,

E altro e altro. E vo più sempre in dietro,
D'anno in anno, all'infanzia, a' giochi ignari,
A' rapimenti chiari
Del senso più diafano che vetro;
E poi con tutto sforzo anco m'arretro
Per ficcar gli occhi oltre il potere umano;
Ma, nel silenzio tetro,
Geme un sospiro, (da che parte?): In vano!

Opaca nebbia fumiga dal nero
Gorgo, ove l'acqua balenando sorge,
E altro non iscorge,
Se bene aguzzo e teso, il mio pensiero,
Che, giunto su la soglia del mistero,
Non può varcarla, e in due si sente scisso:
Ciò ch'egli ha di più vero
È rimasto laggiù, nel muto abisso.


(Da "I Canti di Pan")


Ferdinand Keller, "Brasilianische Flusslandschaft"

domenica 11 ottobre 2015

Poeti dimenticati: Enrico Aurelio Saffi

Nacque a Bologna nel 1890 e morì a Forlì nel 1976. Nipote del patriota Aurelio Saffi, fu uno dei fondatori della rivista "La ronda", di cui fu anche codirettore. Laureatosi a Roma (ebbe compagno di studi Riccardo Bacchelli), si dedicò in seguito all'insegnamento. Nel 1944 fu nominato commissario dell'Accademia di Santa Cecilia e ricoprì tale carica per qualche anno. In vecchiaia abbandonò la capitale italiana per trasferirsi a San Varano, dove morì poco prima di compiere ottantasei anni. I suoi scritti, che si trovano, oltre che nella rivista citata, anche in "Lirica", mettono in mostra uno spirito poetico moderno, pronto a cogliere quei mutamenti sostanziali dello scrivere, tipici del primo ventennio del XX secolo, ovvero la scelta del "frammentismo" e del sovrapporsi continuo di prosa e poesia.




Testi

AUTUNNO E AMORE

Fra nebbie moventi traspaiono i colli autunnali,
traversate da voli e gridi verso i rami nudi e stillanti
e sotto gli alberi più vicini i campi lavorati che han bevuto tutto ieri e i giorni prima.
In questo paese della mia adolescenza, che gli occhi riaccolgono teneramente,
nel mattino penetrante le membra ancor del letto tiepide,
ecco i tuoi occhi nuovi,
lucidi e fissi, dove l'anima segue un suo pensoso sogno,
fresche pupille brune, che, per entro, lo sguardo è com'acqua su muschi verdescuri sotto un sottile vetro di ghiaccio,
ma come quando brilla su l'inverno il sereno,

ride, intorno a quegli occhi che non lo sanno, il tuo viso scolorito.

(Dalla rivista «Lirica», dicembre 1913)

Poeti dimenticati: Leo Ferrero

Nacque a Torino nel 1903 e morì a Santa Fe nel 1933. Nipote del famoso antropologo Cesare Lombroso, Ferrero mostrò una precoce propensione agli studi letterari e, già nella primissima gioventù cominciò a scrivere e pubblicare versi, saggi e drammi. Collaborò a varie riviste tra le quali "Il Mondo", "Il Baretti" e "Solaria". In quest'ultima si mise in luce come uno dei migliori talenti letterari emergenti. Costretto ad abbandonare l'Italia perché contrario al regime fascista, si trasferì negli Stati Uniti, dove morì a soli trent'anni a causa di un incidente stradale. I suoi versi, in gran parte pubblicati su riviste, furono raccolti in volume dopo la sua morte.



Opere poetiche

"La catena degli anni", Nuove Edizioni Capolago, Lugano 1939.



Testi:

SUNNIO

Oh! Perché mai, nel silenzio d'opale, gli antichi naufragi,
mendicante di pace, mi risovvengono! Chino
sul precipizio, muoio in sogno, ed immobile è il mio
dolore come quel barco che il vento dimentica. Un gregge
pascola all'ombra dei capitelli sereni,
con un pigro romore di pioggia la piana è quieta
e malinconica come il semicerchio d'un mare
traversato. Oh! Dormire del sonno del golfo! Ma invano
portano il cielo le rosee colonne che àdula il sole,
se in questo rudere colmo di gioia, riso di pietre
mutilate, non trovo un angolo d'ombra che accolga
la mia vergogna di soffrire, cristiano smarrito
tra le memorie, in una lentissima sera d'esilio...

(Dalla rivista «Solaria», maggio 1932)

domenica 4 ottobre 2015

Poeti dimenticati: Beniamino De Ritis

Nacque ad Ortona a Mare (Chieti) il 1° maggio del 1888 e morì a Roma il 12 agosto del 1956. Scrisse poesie soltanto nella prima gioventù, dapprima pubblicandole in riviste letterarie e poi in un volumetto intitolato "Nell'orto degli ulivi" in cui prevale decisamente la tematica francescana. Proprio nel periodo in cui compose questi versi (soprattutto sonetti), De Ritis frequentò il cenacolo letterario romano di poeti vicini a Sergio Corazzini, partecipando anche ad incontri memorabili tenutisi al Caffè Argano.



Opere poetiche

"Nell'orto degli ulivi", Officine Grafiche di Ortona a Mare, 1908.



Presenze in antologie

"La fiorita francescana", a cura di Tommaso Nediani, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo 1926 (p. 159).
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 498-517).



Testi

SAN FRANCESCO DEI MONTI

O San Francesco, contro la minaccia
dei venti ed il furor delle tempeste,
propizio sopra le montane creste
veglia il magro profil della tua faccia;

mentre d'antiche visioni in traccia,
dischiudi gli occhi a un'estasi celeste,
e tra un largo respiro di foreste
apri, lodando, al tuo Signor le braccia.

Talor, salendo dalla valle lieta,
lungo le rupi scintillanti al sole,
del bianco polverio delle cascate,

un vol d'uccelli, innanzi a te s'acqueta
come se fosse per le vie nevate
persuaso da tue dolci parole.

(Da "Nell'orto degli ulivi", 1908)