sabato 7 maggio 2016

Le rondini in altre 10 poesie di altri 10 poeti italiani del XX escolo

Qualcuno dice che fra pochi anni scompariranno... ma anche quest'anno sono tornate! In verità si son fatte desiderare un po', me ne sono accorto osservando il cielo all'inizio della primavera: non ne vedevo neanche una. Poi, all'improvviso, sono comparse, ed ora se ne vedono tante riempire l'azzurro e far più lieta la vita. Che siate le benvenute anche quest'anno... Ma che tristezza è il pensare che all'inizio dell'autunno prossimo, ve ne andrete via ancora una volta!




NUVOLE E RONDINI
di Andrea Agueci (1906-2002)

Vidi nuvole d'oro
in pioggia e nebbia disfarsi
e diventare
torba mota nella bassura.
Ma vidi anche rondini
dal putrido pantano
prendere il fango
per farne nidi tra l'azzurro, in alto.

(Da "Crocevia", Edizioni del Ciclope, Palermo 1929)




RONDINE
di Luigi Fallacara (1890-1963)

Or di celesti calme provi agio,
o rondine. T'abbassi, t'esalti,
ripalpitando ombrosa sui viali,
lungo le nere correnti
degli aridi asfalti.
Trovi le nostre strade
facendo appena oscillare d'azzurro
le indocili ali,
e gli occhi che il sole ancor rade
ne cercano, miti e terreni,
per porte, finestre ed archi,
l'ultime luci, gli ultimi baleni.

Confidente della terra!
Sospesa leggera
su piazze che serra
già l'ombra notturna,
ascolti come s'esali
la vita d'un giorno.
E pare che tu ne ripeta
voci, sospiri e musiche serali
nell'aria in ritmi
di cadenza segreta.

Uccello subito e muto,
consolatore della sera!
Intorno ai cipressi tu, in traccia
di giorni affaticati,
intorno alla croce di braccia
che sopra un sedile s'annera,
tristezze umane conosci e agevoli
con voli carezzevoli.

Al verde della luce che s'invola
dai prati, alle calme
del fiume che ancora
riflette un rosa pallido di nube,
preferisci quest'ora
nostra e i nostri approdi.
E di sorrisi che schiudi
su volti delusi,
come quando sull'acqua t'illudi
e imprimi i tuoi cerchi d'azzurro,
silenziosa godi.

[Da "Poesie (1914-1963)", Longo, Ravenna 1986]




ULTIMA RONDINE
di Ugo Ghiron (1876-1952)

Ecco l'ultima rondine si tolse
con disperato cinguettìo dal nido:
lungi eran l'altre, e niuna il suo raccolse
                            sperduto grido.

Ma quando via col suo querulo affanno
varcato avrà piccola e sola il mare,
che lieti cinguettìi saluteranno
                             il suo arrivare!

Anima stanca, rondine inquieta,
che chiami e chiami e chiami chi fuggì
e non risponde, e pur ti fece lieta
                             ai lieti dì,

spìccati, parti, o tu nel nido sola:
varcalo il mare con le sue procelle:
ancor le note a ridestar tu vola
                             voci sorelle.

[Da "Poesie (1908-1930)", Sandron, Palermo 1932]




RONDINI E FIORI
di Achille Leto (1870-1963)

Marzo che partesi
ride a ogni soglia;
svolan le rondini,
l'erba germoglia.

Le nere rondini
appendon nidi,
e vanno e vengono
liete di stridi.

Ma preferiscono
gli umili tetti;
e l'erba mettevi
fiori gialletti.

Dopo le nuvole,
dopo i dì foschi,
i sogni cantano
dei grandi boschi.

Pensi anche ai poveri,
marzo che muori,
con un pio lascito:
rondini e fiori.

(Da "Piccole ali", Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1914)




LE RONDINI
di Marino Marin (1860-1951)

Sul filo aereo che sovrasta al ciglio
de la strada le rondini migranti
ciancian, venute lì Dio sa quanti
borghi lontani, a garrulo consiglio.

Più là sono altre: ovunque è uno scompiglio
d'ali, un alacre andare indietro e avanti,
un vigile spiar se il gallo canti
da qualche aja deserta il dì vermiglio.

Ed ecco: a un cenno del Signore un rombo
traversa l'aria: addio! Le rondinelle
van col Signore e non le offende il piombo.

Già non son più che un'ombra, un'ombra nera;
e noi chiediamo tuttavia: sorelle,
ci rivedremo ancora a primavera?

(Da "Luci e ombre", Zanichelli, Bologna 1904)




RONDINI, O VOI DOVE ANDATE?
di Marino Moretti (1885-1979)

Rondini, o voi dove andate
che par che il cielo v’ingoi?
O amiche rondini, fate
fate ch’io venga con voi.

Rondini, io getterò via
tutto ciò che amai, tutto ciò
ch’è inutil peso, terrò
soltanto l’anima mia.

Rondini, è certo che poi
senza l’ombra d’un pensiero
sarò leggero leggero
come il vento, come voi.

E tu taci, anima mia.
Mentre che scema la luce
andiamo dove ci conduce
questo volo, andiamo via.

(Da "Poesie scritte col lapis", Mondadori, Milano 1970)




LA RONDINE
di Nicola Moscardelli (1894-1943)

La rondine che giunge ai nostri lidi
dopo lungo viaggio
giunge insieme alle nostre rive acclivi
e al nostro cuore
che la riceve
e si bea del suo canto aspro e selvaggio
folle e lieve.

La sua follia ella ha tutta nel canto
ché il suo nido è perfetto
e i rondinini imbocca
pazientemente sotto la grondaia.

Perché non siamo simili alla rondine?
Un grano di follia ravviva il sonno
come un grano di sale avviva il fuoco.

(Da "Canto della vita", Vallecchi, Firenze 1939)




RONDINI
di Michele Pierri (1899-1988)

Rompono il cielo tepido
e finisce l'insetto,
sono le frecce nere
rondini del mio petto,

solo giustizia chiedono
le mie colpe, le vere,
nero perfetto.

(Da "Realtà oppure", Rebellato, Padova 1959)




RONDINELLA
di Giulio Salvadori (1862-1928)

Il giglio fiorentino
e la vermiglia rosa
rendon l'aria odorosa
al vento mattutino

Dove la rondinella,
sopra l'immenso mare,
brilla come una stella
un àttimo e scompare.

Con l'accorato trillo
ride, volando, e geme:
l'immenso mar tranquillo
ch'ella affrontò, non teme.

Arrivò dall'Egitto
qui con le sue sorelle:
sul mar fece tragitto
sotto il sole e le stelle.

Chi tanto ardir le diede?
chi le insegnò la via?
La rondinella crede,
segue la madre pia.

Forse la madre un giorno
cadde percossa al suolo!
non fa con lei ritorno;
ma le ha insegnato il volo

Verso la dolce Terra
dove son rose e gigli.
Se il vento e il mar fan guerra
ai piccoletti figli,

Una bontà materna
che vede e ognora è fida,
li veglia, li governa,
è lor custode e guida.

(Da "Ricordi dell'umile Italia", Libreria Editrice Internazionale, Torino 1918)




RONDINI
di Rocco Scotellaro (1923-1953)

Rondini voi,
guizzando d'aria felici, rondini,
si turba di voli il mio giaciglio.

(Da "Margherite e rosolacci", Mondadori, Milano 1978)








martedì 3 maggio 2016

Calendimaggio in tre poesie italiane

BEN VENGA MAGGIO
di Angelo Poliziano (1454-1494)

Ben venga maggio
e 'l gonfalon selvaggio!
Ben venga primavera,
che vuol l'uom s'innamori:
e voi, donzelle, a schiera
con li vostri amadori,
che di rose e di fiori,
vi fate belle il maggio,
venite alla frescura
delli verdi arbuscelli.
Ogni bella è sicura
fra tanti damigelli,
ché le fiere e gli uccelli
ardon d'amore il maggio.
Chi è giovane e bella
deh non sie punto acerba,
ché non si rinnovella
l'età come fa l'erba;
nessuna stia superba
all'amadore il maggio
Ciascuna balli e canti
di questa schiera nostra.
Ecco che i dolci amanti
van per voi, belle, in giostra:
qual dura a lor si mostra
farà sfiorire il maggio.
Per prender le donzelle
si son gli amanti armati.
Arrendetevi, belle,
a' vostri innamorati,
rendete e cuor furati,
non fate guerra il maggio.
Chi l'altrui core invola
ad altrui doni el core.
Ma chi è quel che vola?
è l'angiolel d'amore,
che viene a fare onore
con voi, donzelle, a maggio.
Amor ne vien ridendo
con rose e gigli in testa,
e vien di voi caendo.
Fategli, o belle, feste.
Qual sarà la più presta
a dargli el fior del maggio?
- Ben venga il peregrino. -
- Amor, che ne comandi? -
- Che al suo amante il crino
ogni bella ingrillandi,
ché gli zitelli e grandi
s'innamoran di maggio. -

(Da "Le stanze di messer Angelo Ambrogini Poliziano", Barbera, Firenze 1863)





MAL VENGA MAGGIO
di Giacinto Ricci Signorini (1861-1893)

Mal venga maggio
E il gonfalon selvaggio.

Ecco la primavera
Come una dama vizza,
S'adorna alla specchiera.
Si atteggia e si raddrizza,
Ed in andando schizza
Per l'erta via di maggio.

E dona vezzi e svenie
E sparge fiori e canti,
E colle vecchie invenie
Chiama di fuor gli amanti
Alle notti stellanti,
Quando è più mite il maggio.

Già s'impettisce il gallo
Fra le amiche dell'aia,
E della luna al giallo
Viso il mastino abbaia
E una canzon sua gaia
L'asino leva al maggio.

È tutto gioia intorno,
Poi che scendono a mille
Del nuovo e puro giorno
I lampi e le scintille,
Nei campi e per le ville
Dilaga, esulta il maggio.

O mese sciocco e inetto
Come mi sei nemico,
Più forte urla il dispetto
Del mio dolore antico:
Io smanio e maledico
Al sole, ai fiori, al maggio.

O non voglio sapere
Se in festa il mondo viva,
Se in braccio del piacere
S'abbandoni la schiva
Fanciulla e se lasciva
Mostri il suo corpo al maggio.

No, la vita è un inganno,
E l'amore è menzogna.
La mente in questo affanno
Non pensa più né sogna;
Sol di morire agogna
Prima che fugga maggio.

(Da "Il libro delle rime", Tip. Nazionale Vagnuzzi, Cesena 1890)





CALENDIMAGGIO
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Ben venga Maggio
e il gonfalon selvaggio!
Ma è una selva che si svelle,
la selva che da sè si schianta!
E viene, e seco ha le procelle
che l’hanno nell’inverno affranta,
e viene e canta
                    il gonfalon selvaggio!

Ben venga con la sua grande ombra
e col grande urlo dei torrenti!
È vivo il gonfalon che ingombra
la terra e si svincola ai venti;
ed ai dormenti
                    annunzia: È Maggio! È Maggio!

Ben venga Maggio
e il gonfalon selvaggio!
S’avanza sotto il cielo azzurro
il verde bosco che s’è mosso;
ha dentro un cupo suo sussurro,
ha dentro un rauco fiato grosso.
È rosso rosso
                    il gonfalon selvaggio!

Ben venga! È gente che sui capi
solleva il ramuscel d’ulivo;
e quel sussurro è ronzìo d’api
seguenti il ramo fuggitivo;
e il rosso vivo
                    è dei rosai di Maggio!


Ben venga Maggio
                    e il gonfalon selvaggio!

(Da "Poesie varie", Zanichelli, Bologna 1912)


domenica 1 maggio 2016

I lavoratori in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Confrontando queste dieci poesie novecentesche dedicate ai lavoratori, con quelle del secolo precedente, si noterà che alcuni mestieri ritornano (l'operaia, il fabbro, il minatore, l'arrotino), forse perché vedere una donna in fabbrica o in un laboratorio che lavorava esattamente come fosse un uomo, molti anni fa ancora destava una certa impressione ed anche un po' di meraviglia; ma anche perché alcuni lavoratori (come gli arrotini) era facile incontrarli nelle strade di paese e di città, o addirittura vederli, sotto la propria casa, esercitare un mestiere misero e che dava ben poche soddisfazioni. Ancora una volta, in questi versi si parla quasi esclusivamente di lavori umili e gravosi, a volte stagionali, che, fortunatamente, oggi non sono più quali erano alcuni anni or sono (qualcuno è completamente scomparso). Il motivo si spiega col fatto che, grazie alle lotte avvenute attraverso vari decenni del Novecento, un po' tutte le categorie lavorative più svantaggiate hanno conquistato dei diritti fondamentali. Ma oggi, la mia impressione è che si stia, lentamente e impercettibilmente, tornando indietro: si riscontra infatti una involuzione del mondo del lavoro, con conseguente perdita graduale di alcuni diritti basilari (si pensi all'abolizione del tanto discusso articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori), che mi porta a prevedere, in questo specifico campo e non solo, un futuro sicuramente non roseo. 




OPERAIA
di Emilio Girardini (1858-1946)

Nel turbinoso strepito del vasto
laboratorio, intenta al tuo telaio,
donzelletta strappata ai campi, il gaio
stornel, solo conforto, t'è rimasto.

Non come un tempo più si ripercuote
lieto di balza in balza, né si perde
in onde sempre più lievi nel verde
piano, ma tra l'ansar di ordigni e ruote.

Ed or risenti, nel suo ritmo stanco,
le dolci sere in cui con le compagne
tornavi dopo il sol da le cmapagne,
la ronca appesa sul crescente fianco;

or con eco piangente la caduta
rosa anzi tempo del tuo volto accusa,
poi che a notte dormir ti si ricusa,
o intenta al tuo telaio ombra sparuta.

(Da "Ruri", Treves, Milano 1903)





IL FABBRO 
di Sebastiano Satta (1867-1914)

Ah tu semini stelle con la mano!
Arde l’ultima fiamma, ecco, su Monte
Atha e tu picchi ancora, o buon titano,
 
Dall’alba! I carratori volti al mare
Vedon rider nell’ombra, fin dal ponte,
Quel tuo stambugio come un focolare.
 
A quel sonìo la sedula massaia
Si desta per la casa e dice ai figli:
— O figli, è l’ora: Già sulla giogaia
Trema il Grappolo, e i cieli son vermigli. —
 
Vengono a te i garzoni e dicon: — Zio,
Tu maestro del ferro, eccoti il vecchio
Ferro, e tu facci un vomere. — Con pio
 
Vigor tu batti ed ecco dalle mani
Ti esce il vomere. E quello come specchio
Ben poi risplende quando gli anzïani
 
Spargon pregando la semente, e i solchi
Fumigan sciolti, e ascoltano tra snelle
Selve il brusìo degli orzi alti i bifolchi.
 
Ed ecco pur, battuti in quel tuo roggio
Antro, falcetti e industriose falci.
O bel cantare del ricolto! Il poggio
Tutto ne suona tra le messi e i tralci. 

Ed al ricolto, premio al tuo lavoro,
Ecco grappoli azzurri, ecco mannelle
Di spighe d’oro, una corona d’oro!

(Da "Canti barbaricini", La Vita Letteraria, Roma 1910)



  
AL MINATORE
di Augusto Garsia (1889-1956)

O minatore che sogni di sole
e ricordi d'azzurra fanciullezza
dolci così, com'è dolce carezza
di figli a madre e di madre a la prole,

porti con te dentro l'occulta mole
che vai scavando con tenace ebbrezza,
mentre l'aere nero con asprezza
punge lo sforzo che ostinato vuole,

oh potessero i sogni e i tuoi ricordi
penetrare con l'ansia del piccone,
onde il cuor delle rocce ignoto mordi,

ne le inferne sostanze a farle buone!
Bontà gli uomini avrebbero dai concordi
metalli, sotto gli astri, e dal carbone!

(Da "Voci del mio silenzio", Campitelli, Foligno 1927)




IL MURATORE
di Manlio Dazzi (1891-1968)

Il muratore ha strade sopra i tetti
per andare fra i nidi a piedi scalzi,
ha le armature per guardarsi il cielo.
La vertigine lascia ai viandanti
e porta sù, con l'arte, l'allegria.
Fa la casa, ch'è buona e chiara e grande
sulle piccole teste dei mortali;
squassa la calce del vestito e canta.

Si può avvilire giù nella valletta,
coscia con coscia con il triste mulo
e le nere patùrnie, un muratore?
Nella trincea c'è il sole e l'ombra e il vento,
come sull'armatura. E se si cade,
è come allora: un tonfo, ecco, nel vuoto.

(Da "Stagioni", Neri Pozza, Venezia 1933)



  
CANTO DELL'ARROTINO
di Nicola Ghiglione (1915-1990)

Arranco - arranco - sono l'arrotino
la finestra del mio studio è il baldacchino
con l'acqua per la ruota e picchio l'intestino
sulla pedana (mi lustro pelle e ossa)
sporco di danza come un teatrino -
mi vengono intorno lucertole e bambini
e balliamo insieme - fame - fame - fame.

(Da "Canti civili", Uomo, Milano 1945)




COMPAGNO ZOLFATARO
di Mario Farinella (1922-1993)

Quanta Sicilia dolora nei tuoi occhi,
ora che nel giorno sbiadisce il sole
freddo e giallo che scavasti
nel buio della terra:
zolfo sole morto
sull'erba saziata di caldo e calpestata.

Tu non sai il sole,
compagno zolfataro,
e le cose della vita
che portano calura e hanno voce.

Solo la lampada che tieni nel ritorno
illumina il tuo mondo:
un passo dopo l'altro
prima della notte
e due scarpe aperte
nel breve cerchio della luce
che macchia il nero della strada.

La ruota del carretto sullo stradone
è sempre il cuore che batte
senza memoria
nella notte di Sicilia.
Ma quanto pane sognano i tuoi figli,
compagno zolfataro.

(Da "Tabacco nero e Terra di Sicilia", Flaccovio, Palermo 1951)




IL GREGARIO
di Gianni Rodari (1920-1980)

Filastrocca del gregario
corridore proletario,

che ai campioni di mestiere
deve far da cameriere,

e sul piatto, senza gloria,
serve loro la vittoria.

Al traguardo, quando arriva,
non ha applausi, non evviva.

Col salario che si piglia
fa campare la famiglia

e da vecchio poi si acquista
un negozio da ciclista

o un baretto, anche più spesso,
con la macchina per l'espresso.

(Da "Filastrocche in cielo e in terra", Einaudi, Torino 1960)




GLI SPALATORI
di Raffaele Carrieri (1905-1984)

Chiedono neve gli spalatori.
La sognano l'inverno
Come il pane dei poveri
Che viene dal cielo.

(Da "La giornata è finita", Mondadori, Milano 1963)




IL GEOMETRA
di Arnaldo Beccaria (?-?)

E un uomo piccolo cammina
con una bolla d'aria, ed un'asta
a scacchi bianchi e rossi.
È colui che scandisce
sull'unità di misura
appezzamenti di terra.
È colui che munito
di un filo a piombo
innalza muri.
Egli è colui che sacrifica il mattino
coi suoi semplici, puri
strumenti di misura.
Il metro,
la squadra,
il filo a piombo,
la livella,
la balina,
la stadia.
O Misura: respiro della terra.
E l'Ordine: sua suprema lindura.

(Da "Sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966)




GLI IMBIANCHINI SONO PITTORI
di Attilio Bertolucci (1911-2000)

Arrivò prima il figlio, in quell’ora
lucente dopo il pasto il sole e il vino,
eppure silenziosa, tanto che
si sentiva il pennello sul muro
distendere il celeste. Non guardava
fuori, la sua giovinezza
e salute gli bastava, attento
alla precisione dei bordi turchini
entro cui asciugando già l’azzurro
scoloriva com’era giusto. Allora
venne il padre che recava uno stampo,
il verde il rosso e il rosa,
e la stanchezza degli anni e il pallore.
Doveva su quel cielo preparato
con cura far fiorire le rose,
ma il verde stemperato per le foglie
non gli andava, non era un verde quale
ai suoi occhi deboli brillava all’esterno
con disperata intensità appressandosi
la sera che si porta via i colori.
Le corolle vermiglie ombrate in rosa
fiorirono più tardi la stanza,
una qua una là, accordate
alle ultime dell’orto, e il buio,
fuori e dentro, compì un giorno
non inutile che lascia a chi verrà,
e dormirà e si sveglierà fra questi
muri, la gioia delle rose e del cielo.

(Da "Viaggio d'inverno", Garzanti, Milano 1971)


Pellizza da Volpedo, "Il Quarto Stato"