martedì 1 novembre 2016

Versi de l'autunno (parte III)

Sono anch'io una foglia ormai ingiallita, ancora attaccata al ramo di un albero in autunno. Vi vedo, foglie del mio stesso ramo: miei cari morti, già caduti in terra uno dopo l'altro. Aspetto... non so quanto rimarrò ancora qui, ma prima o poi sarò con voi, finalmente. È tornato novembre: mese consacrato ai defunti, ed è allora impossibile non pensare a voi (così tanti nella mia mente), che siete stati qui, con me, per un certo tempo, ed ora mi avete abbandonato per sempre. Ho gettato al vento autunnale l'ultima speranza ed aspetto soltanto la definitiva partenza. Intanto qui c'è il sole, ma è un sole freddo, senza calore... la luce si fa sempre più avara e le giornate sono sempre più brevi. Il mio cuore e la mia anima sono sempre più tristi...



IL VENTO
di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi

- È il vento - mormorò taluno.
- O una trave che s'è ricordata dell'Autunno, rispose un altro.
- Forse un tarlo...
- Un topo...
Un lume batteva l'ali contro un vaso di vetro, a mezz'aria della stanza: a torno, una danza d'ombre s'allacciava alle pareti; saliva sui mobili con un balzo, dando il capo nel soffitto. Ed io ripetei a bassa voce: - il vento?
e gli altri in coro - una trave...
- un tarlo:
- un topo.
E il mio cuore:

          L'autunno di ramo
          in ramo si raccoglie
          come un uccello al vento:
          e un lamento di foglie
          mesce con un richiamo
          di piogge, di fontane
          e d'ombre. Il pianto
          vaga in aria a lontane
          solitudini, oscilla
          di villa in villa,
          e scolora ogni fronda.
          Pendon lacrime e canto
          ne la pace profonda
          de la campagna:
          ed un rimpianto
          ad ogni gronda
          fuggitivo si lagna;
          ed un lamento
          di vento l'accompagna...

E il mio pensiero: - un viandante che ha freddo...
E gli altri ancora:
- un tarlo;
- un topo...
E il mio pensiero: - forse né gli uni, né l'altro.
- E allora chi?
Il cuore si chiuse rabbrividendo.
E il pensiero: allora chi? - un uccello smarrito, un ramo caduto?
Un attimo oscillò.
Nel silenzio ognuno si chiedeva: chi?
E l'angoscia entro il pallido velo dell'ombre s'affacciava da ogni volto. Qualcuno si volse verso il vano oscuro del corridoio che s'apriva in fondo alla stanza... ma una voce ripeté: il vento!
- e noi respirammo.
Pur io mi richiesi ancora, entro il cuore:
- il vento?
- Forse nessuno.
E come un'eco nell'anima:
un tarlo,
un topo,
un uccello,
un ramo...
I fantasmi del lume battevano il capo contro le travi: io m'avviai verso la porta crollando il capo.
Alcuno disse: no, no.
Ed io - perché?
E m'avviai. E gli altri ascoltarono in silenzio i miei passi che lontanavano, pel corridoio, lungo la scala del cortile, guardandosi in faccia.
E ognuno si ripeteva in cuore: il vento!

(Da «La Riviera Ligure», 1900)




NELL'OMBRA
di Enrico Thovez

Il parco nel crepuscolo grigio s'infosca e posa.
Cessò la pioggia: gocciano, luccicando, le frasche
con un crepito sordo, gorgogliano le vasche,
e la rena lavata beve l'onda piovosa.

Tutto è molle e odorante; par di sentire il lieve
suggere della ghiaia dai suoi pori di pietra:
rosea e bianca nel buio sotto la volta tetra
biancheggia in mezzo ai carpini in meandri di neve.

Le ninfe grigie e i satiri verdeggiano di muffa.
Fra lo stormire liquido de le fronde sommosse
da un alito insensibile, a fior de l'acque scosse
de lo stagno, starnazza l'ali il cigno, e si tuffa.

La vaga forma candida naviga per l'immoto
specchio dell'acque nere. Con un sussurro umano
foglie secche si staccano; passa come una mano
sulla mia fronte: cadono sotto, nel buio ignoto.

Tutta la selva vive. Sono fruscii, bisbigli,
schianti improvvisi, cupi scricchiolii e risate:
le foglie secche crepitano piano a tratti, calcate
da un passo...: qualcheduno coglie nell'ombra i gigli?

Ritorna un dolce spirito nei luoghi antichi e cari
forse? o la mente popola del suo delirio il vuoto?
Vaghi biancori accennano, spira un profumo noto...
o morto amore, o dolce forma, sei qui? mi appari?

Viene una veste bianca qui lungo l'acqua oscura?
È il cigno, il cigno! M'alita la selva umida in faccia
un brivido di tomba: mi avvinghiano le braccia
dei tronchi strani: io arretro, palpito di paura...

La selva secolare sola vivente è qui.
Questo fruscìo leggero è il sibilo autunnale
delle foglie cadenti: nessun passo mortale;
oh, nessun morto amore torna dai morti dì.

(Da «La Riviera Ligure», 1902)




ELEGIA AUTUNNALE
di Vittorio Betteloni

Quando dal basso cielo, autunno con pioggia incessante
spesso ci annoja, a guisa di scellerati funghi

ch'alzan da negra zolla il capo dipinto d'arcane
cifre, che dannan morto chi di quelli si pasce,

tali in mio cuore molte tristezze sollevan la fronte
misteriosa e quale io stesso mal ravviso.

L'anima affascinata a lungo di quelle si pasce,
con voluttà che amara tutta quanta la invade.

Nel pigro sangue intanto s'insinua sottile veleno,
che senza uccider mette il viver nostro in odio,

che assai peggior d'ogn'altro velen desiabile rende
morte su tutte cose, morte che non sa darti.

Ma poscia che la pioggia e il vento percosse l'intera
notte la tua finestra, se inaspettato il sole

viene a destarti a giorno, il sole che d'iridi tutto
e di raggianti gemme l'ultimo verde copre;

e la Natura esulta qual donna a carezze d'amante
ogni mestizia tosto sgombra da 'l petto allora.

Vero è bene però, perchè splende oggi il sole, non muta
punto sua rude, ferrea tempra l'uman destino.

Pur che importa? Non è; ma men triste la vita oggi appare
dunque esultiam nel sole, noi che per breve tempo

a le sue feste appella la diva immortale Natura:
dimentichiam per poco quali noi siamo, quale

il fatal esser nostro mistero infinito ravvolge;
prendiamo parte a 'l gaudio de la Natura immensa.

Oggi a 'l mattin su i campi c'invita l'allodola dolce,
che fumerà odorosa su 'l piatto nostro a sera.

Poi tornerà domani a piangere il cielo a dirotto,
tornerà il cor domani a le mestizie sue.

(Da "Crisantemi", 1903)




SAN SABA
di Diego Angeli

Lenta la pioggia cade nel vecchio giardino ove un giorno
io l'aspettai spiando fra i rami dei chiusi recinti:
qualche pallida rosa d'Autunno fioriva all'intorno
e sotto l'erbe verdi si aprivano i primi giacinti.

Hyla non forse mai scrutò fra gl'immobili steli
se nella chiara fonte tendesse una ninfa l'agguato:
nel moribondo giorno curvavansi limpidi i cieli
alto attingea la luce un bel campanile quadrato.

Non una voce. A volte piombava un arancio maturo
sul terreno sonante: a volte passava uno stuolo
rumoroso di corvi. Ma l'orto era sempre più oscuro:
ma io pur mi sentivo ad ogni minuto più solo.

E nel silenzio grave un grave pensiero tenace:
— Verrà? Troppo ho tardato a stringerla fra le mie braccia!
Sulle mie labbra è il senso di quella sua bocca vorace,
nei miei occhi il riflesso di quella sua pallida faccia!

Tutta la vita, tutta, per scioglierle la chioma ondosa
come sul limitare dell'inobliata laguna,
quando nella mia stanza ella venne silenziosa
come una bianca forma recata da un raggio di luna!

(Ella aveva nei biondi capelli l'odore del sale,
dentro i lunghi occhi obliqui, l'immagine triste di un mondo
e nella voce il suono dell'irreparabile male).
Ah la mia vita tutta, per l'ultimo abbraccio profondo!

Ma quest'oscuro voto rimase nel cuore dolente
chiuso come una tomba sulle illusioni più care.
Tu non sapesti entrare nel breve giardino morente
Anima del Crepuscolo, immobile sul limitare!

(Da "L'oratorio d'amore", 1904)




ELEGIA D'AUTUNNO
di Arturo Onofri

Cadon le brune foglie morte
nei tepidi aliti autunnali,
pigre, dolenti, quasi pendule
per ghirigori dalle nuvole;
ma poi precipitano come strali
e ancora a terra sembrano vivere.
Nell'aria d'autunno monotona e greve
che anelano esse di tremulo e lieve?

Di lieve cenere molle è il cielo,
dove una rondine ultima emigra
in un tagliente volo tacito;
ma dentro a lei singhiozza l'anima
che senza un brivido, dianzi, pigra
languia, svogliandosi d'ogni spasimo.
E adesso, o ricordi, sfiorita l'estate,
pel grigio tramonto d'autunno volate.

Ascolto l'ora, come in sogno,
batter precipite nel mio cuore,
e quel ch'eterno ieri parvemi
oggi è sepolto in fondo a un baratro.
Colei che tenera vuole amore
ha baci e brividi, ma non l'anima.
Io penso ad un'altra che amavo, ch'è morta...
Chi è che singhiozza nel buio alla porta?

(Da "Liriche", 1914)




ELEGIA D'AUTUNNO
di Marino Marin

Quando nebbia cinerea recinge
le lontananze quasi triste incenso,
nel tedio de' campi umidi un senso
di dolore e di morte il cor mi stringe;
e penso: come verde in foglie e in fronde
langue la giovinezza in brevi dì:
piegan garzoni e giovinette bionde,
piegasti tu, fratel dolce, così.

E se in cupa foresta odo la romba
del vento che flagella i nudi rami,
pietà di voi mi punge, o bimbi grami,
o bimbi assiderati nella tomba:
la piova, che trafigge a i fior l'antera,
piccioli cuori, voi trapassa ancor;
o bei piedini freddi come cera,
chi vi riscalda giù nel muto orror?

Il verno batte a le funeree porte,
né man pietosa è che vi tolga al gelo,
o chiusi al dolce lume occhi di cielo,
o labbra suggellate da la morte:
non la materna carezzevol mano
che a benedirvi, o parvoli, s'alzò,
la man che in caro atto d'amore il sano
lettuccio a sera ricomporvi usò.

Piegan tra accidiose erbe ne' santi
luoghi di morte i fiorellini mesti;
a pena è se tra l'urne ergonsi agresti
autunnali e ciuffi di amaranti:
oh buoni, oh forti, la pioggia vi piaga,
v'insulta il vento, o fiori de l'avel,
ma se raggio di sol ride, la vaga
testina anco si drizza in su lo stel.

Primole nove e novi bimbi al mite
aprile sgraneran gli occhietti azzurri,
bacio d'amor ravviverà i sussurri
de l'aria e de le selve rifiorite;
ma chi s'abbatte ne la Parca nera
cade colpito ne la tomba giù...
Hai bel chiamare, o vaga primavera:
la morta gente non ritorna più.

(Da "Humus", 1892)




CANZONETTA
di Tito Marrone

Cara, novembre, il gelido
mese dei morti, è giunto.
Del nostro amor defunto
chi si ricorderà?

Desiderammo d'essere
liberi, all'ultim'ora:
di ricordarlo ancora
l'anima temerà.

Ma poi che dentro l'intima
tomba del cuore ei giace,
cara, la nostra pace
non ne risentirà;

e noi potremo cogliere
dall'anima, oggi stesso,
l'ultimo fior per esso
che non si desterà.

Il fior della memoria
che ci fiorì nel cuore,
passate appena l'ore
della felicità,

esalando l'effluvio
timido che gli resta,
reclinerà la testa
e si disseccherà.

(Da "Liriche", 1904)




ORA FOSCA
di Domenico Gnoli

Tutte le piogge de la tristezza
battono ai vetri,
tutte le foglie l'ispida brezza
stacca dai rami tetri;

tutti i cipressi c'han germogliato
da le cose defunte
sotto un cinereo nuvolato
drizzano le punte;

tutte le solitudini mute
per deserti senza via
nel sudario de le cose perdute
fasciano l'anima mia.

Come l'eternità è profondo
il silenzio funerale:
solo, ad ora ad ora, dal fondo
sale un singhiozzo, sale

il singhiozzo delle primavere
co' gli alberi in fiore,
il singhiozzo de le molli sere
coi canti d'amore.

(Da "I canti del Palatino. Nuove solitudini", Treves, Milano 1923)




TORBIDO
di Giuseppe Zucca

Non era, non era la pioggia
che mi rullava sul cuore
la sua gran marcia funerale.
Non era, no, la nebbia
che mi fasciava il cuore
del suo sudario sepolcrale.

Pareva, per quell'aria spettrale
di un novembre assai piovoso,
che tutte, nel mio cuore dolente,
le mie ultime speranze
con un gran singhiozzo affannoso
piangessero disperatamente;

pareva che mai più, mai più
dovessi sapere un sorriso,
dovessi vedere il sereno.
Ma ecco, tra quel lividore,
su nel cielo fiorire improvviso
grande, immenso, l'arcobaleno!

Il sole, tra poco? il sereno?!
O cuore! tu, tu che non credi...
Impara! Ricorda. Se pure,
talvolta, la torva bufera
annera il tuo giorno, tu vedi:
di là dalle nuvole oscure,

c'è il sole, c'è il sole, c'è il sole!

(Da "Io", 1921)




AUTUNNO
di Guido Marta

Autunno autunno, è assai dolce ristare
sul limitare, a riscaldarsi al sole:
e sognar nei fossati le viole,
se il gatto ronfa presso il focolare.

Autunno autunno, all'uscio tu ài picchiato:
passò, lungo la via, la prima gregge:
passò il villano, che in sua mano regge
il cesto grave sotto il pergolato.

Odor di mosto, riasciacquìo di tino:
io — fermo sulla soglia della casa
non più mia, con lo sguardo alla cimasa —
sono un mendico in cerca di cammino.

(Da "La neve in giardino", 1922)




LA GHIRLANDA, V
di Tommaso Sillani

Sol di Novembre! Tepido tu vieni
a mitigare il primo freddo e poni
il tuo pallore sovra i campi proni
nel gran silenzio e sopra i colli ameni.

S'addormentano in te di seme pieni
i solchi lungo i fiumicelli buoni;
offre nel raggio tuo gli ultimi doni
la Terra Madre dagli aperti seni.

Un grappolo che ancor pende dai tralci
offre, e tra i rami picciolette poma
che a ricolta scordò l'uomo silente;

e intorno chiusi ne la gialla chioma
dondolan gli olmi, dondolano i salci
e cadono le foglie lentamente!

(Da "Le pastorali", 1912)




NOTTE DI AUTUNNO
di Walter Ottolenghi

Pioggia di crisantemi bianchi
nella notte,
crisantemi che affondano il candore
nel silenzio,
morendo,
soavi e lenti
come piccoli pianti di bimbi,
come un brivido di profumo
che accarezzi uno spasimo

Ieri fu... sì, ieri,
che strisciammo melanconici
tenendoci per mano,
come strani bimbi pensosi,
per questo viale
dai giganteschi pini,
che avevano paura di noi
tanto si ritorcevano nel vento
schermendosi!

Ieri fu
che noi vagammo
sino al disperato limite del silenzio,
per chiamar, senza voce,
l'anima lontanante.
Ricordare non vale,
bisogna sentire ancora,
e per sempre,
chi siamo stati ieri!
Tu m'hai fuocato
d'uno sguardo d'ombra
e m'hai fatto pallido come un insonne,
io t'ho ravvolta tutta di silenzio
e t'ho portata fuori di te stessa,
per ghermirti in me solo:
guarda quei corpi ora
che scuotono la ghiaia
di quel lungo viale in letargo,
che vanno nel silenzio,
guarda quei corpi:
sono i nostri
e noi stiamo estaticamente
a vederli vagare!
Siamo infitti a un istante
che rimane per noi,
poiché noi solamente
siamo gli ospiti dell'amore!
Ieri!
ed il cielo
ci sembrava una pozzanghera
d'acqua malata,
tant'era triste,
e l'anima commossa
delle cose altissime
ci pareva sorella!
Ora è la notte,
la pozza grigiastra s'è fessa
e ne appaiono rivi d'argento
di veli e di stelle:
ecco son tutti i petali
del fiore dell'infinito!
Taci!... l' anime nostre
guardano noi stessi vaganti
come smarriti corpi
pigrissimi!

Ed ora non avere paura,
poiché si leva alto
il suono di quell'organo d'argento,
e timidi voli d'uccelli sperduti
paiono le note:
c'è un'armoniosità
più pura dell'anima bianca
della lucentezza del cielo,
un'armoniosità che corre
come stendente veli su di noi,
su tutti, di questo gregge raccolto!
ed io ti guardo
come un pallido essere
trasumanato
da una fede nuova,
pagana e sacra d'amore,
come un giglio bianchissimo
che offenda il sole
in un meriggio rosso.
Annodiamo le cime
dei pini flessuosi
come spire di fumo,
annodiamo questa natura altissima,
e ne faremo un arco di trionfo,
e passeremo noi,
sgranando nel silenzio il passato,
gettandolo ai rivi
perchè lo cantino a chi resta!

L'acque si specchiano nel cielo,
freme la luce nel candor d'opale,
come una conca
si schiude l'anima del mondo
e ci attende...
Vieni... del manto bianco
voglio farti una veste leggera
come tutte le cose divine!

(Da "Luce", 1922)




RIME DI NOVEMBRE
di Gesualdo Manzella Frontini

Dal mio giardino triste
sale uno sfatto odor di crisantemi,
muoion le foglie come gialle ariste;
cadon vinte le spemi
da la Corona sul mio capo morta.

Un mite sole scialbo,
con un sorriso pallido ammalato
occhieggia fra le nubi umide falbo,
e sfiora l'emaciato
piegante viso a la Corona morta.

La mia Corona ardente
di papaveri accesi e rosolacci,
di gioveni desii or tristemente
caduti ne li abbracci
del disinganno. Oh la Corona morta!

O rime di Novembre
rime di pianto e di melanconia,
(oh! mai) passate ebrezze, or io per sempre
piangerò ne la via
del mio dolore la Corona morta.

(Da "Le rosse vergini", 1905)




PIOGGIA DI NOVEMBRE
di Vittorio Masotto

Oh, questo grigio immutabile velo,
Che l'orizzonte tutt'intorno chiude...
Questo pianto perpetuo del cielo
Sui nudi rami, su le zolle nude...

E l'inverno così batte alle porte,
Urge i tuguri... — Ahi quante, in muto affanno,
Povere umane vite piegheranno,
O inverno, ancora, al tuo soffio di morte...

Ancor nemico è l'uomo all'uom. Risona
Pur sempre intorno la selvaggia guerra:
E sempre a chi il miglior sangue le dona
Avara cresce i suoi frutti la terra.

Sempre?... — Ma in ogni tronco, in ogni seme,
In ogni atomo, occulta un'operosa
Anima alberga, e vi respira e freme —
Occulte fremon de la faticosa

Plebe, entro i petti, a mille, alme d'eroi...
E quest'oppressa, un dì, questa schernita
Plebe si leverà ne' dritti suoi,
Nella sua forza, a conquistar la vita.

(Da "Verso l'aurora", 1905)




CANTO DI MEZZO NOVEMBRE
di Giovanni Chiggiato

Sta sui deserti campi il moribondo
autunno, Ciò che fu verde, si sface
sotto le tarde pioggie in tra un immondo
limo tenace.

Guardo: nei mille fili, onde s'addensa
la nebbia fra una nuvola e un rigagno,
s'impiglia il mondo quasi entro un' immensa
rete di ragno?

È la tua morte, autunno; ella che inchiude
quanto ti piacque, in questa ombra infinita...
Nessuna intorno s'alza lene o rude
voce di vita.

No: quel silenzio a un improvviso canto
che da la strada si levò, s'infrange.
Che fu? Chi sordo a l'universo pianto
oggi non piange?

Non so chi passa, canta egli e non cura
d'acqua o di nebbie o di vischiosa mota:
balza la gioia d'una sua ventura
oltre ogni nota!

Prodigio d'una fresca gola: il mio
pensier si foggia or su quell'aria lieta.
Fratello ignoto che mi dai l'oblio:
tu mio poeta.

(Da "La fonte ignota", 1907)




LO SPASIMO DELLA SELVA
di Luigi Orsini

Ecco, e Novembre si facea palese
per un grande languor di tòni foschi,
come se da un fantastico paese,
ove il ciel s'incalìgina di toschi,
e' fosse giunto con mani protese
per córre foglie ai solitari boschi,
muto sciogliendo via per ogni rupe
una malinconia di cose cupe.

E in un pensiero cupo di dolore
eran le cose tacite e compunte;
c'era ne l'aria non so che... l'odore
de la soavi prìmule consunte;
c'era su per le vigne arse un colore
quasi di gote a poco a poco smunte,
e intorno un po' de la tristezza arcana
che vela il sogno quando s'allontana.

Ma più triste sorgea l'aspra boscaglia
entro cui s'attardavano i castagni
che fra intrichi di vepri e di sterpaglia
ferìano il cielo di selvaggi lagni;
come a sfidare un'ultima battaglia
si serravano, squallidi compagni,
un contro l'altro, e al vespero morente
storcean i bronchi disperatamente.

Dicean: — non valse i giganteschi dossi
aver piegato per l'altrui diletto?
Cullar non valse nidi a pettirossi,
e a cuori umani offrire ombre e ricetto?
Ah che sui nostri rami ultimi scossi
piomba oramai l'inverno maledetto;
e nei tramonti desolati e lunghi
noi marciremo tra 'l senior dei funghi! —

Ma già scendeano da più alti monti
luci sì chiare che parean cristalli,
e nel grande rossor de li orizzonti
fiorìa come una selva di coralli;
e fumavan camini ilari e pronti
risalutando i fiumi per le valli,
mentre da un tetto usciva ermo e loquace
di bocche in fiore un mònito di pace:

«Se siete buoni, n'avrete più tante!
...buoni com'essi, di queste pendici...
essi, i castagni! V'àn dato lor piante,
v'àn dato i frutti di loro radici!
Pregate prima per l'anime sante
di quei che vissero, o tristi o felici:
son tutte a un modo le cose sepolte...
Se siete buoni, n'avrete più molte!...»

Languìa la voce dentro la capanna
e i castagni morìan sotto le stelle;
ma morìan più contenti, a la tiranna
sorte già dòmo l'impeto ribelle:
tanto può sovra un'alma che si duole
la tenerezza d'anime sorelle:
e il novo giorno irradiò una schiera
d'alberi morti in atto di preghiera.

(Da "Le campane di Ortodonico", 1921)




AUTUNNO ESTREMO
di Francesco Pastonchi

È così chiara e calma di splendore,
senza un desìo che vi muova ombra d'ale;
questa pace d'estrema ora autunnale!
Posa la terra e gode il suo stupore.

Tutto vi si rivela nel pallore
con una purità che ignora il male;
e su estatici monti il cielo è quale
languido agli orli il calice d'un fiore.

Tutto è di là da un velo, ma sì lieve!
come un sogno di cosa oltrevissuta,
che resta: labilissimo tesoro.

Il tempo è immoto. Da remota pieve
i suoi rintocchi su la terra muta
cadono come lente gocce d'oro.

(Da «La Lettura», 1919) 




LIMITARE DI NOVEMBRE
di Francesco Cazzamini Mussi

Languido autunno, inoltri il passo tardo
e la tua mano con un gesto lento
spoglia i giardini d'ogni aulente fiore...
Languido autunno, in te morir non duole...

Erra nell'aria come una soave
malinconia che nel mio cuor discende,
nel vecchio cuore che si sente solo,
preda a un'ebbrezza eh' è dissolvimento...

O dolci amori della primavera,
cadon le foglie, e dove siete voi?
Languido autunno, in te morir non duole.

Oro nel cielo ed oro sulla terra,
maturità feconda che sfiorisce
nella pienezza del rigoglio estremo
come sorriso che, non visto, muore...
Maturità feconda che tramonta!...

Anima mia, non piangere.... Nel fango,
sovra la terra, putre già la foglia
che stormiva alla brezza vespertina
e che l'alba baciava, e in sé viveva
una sua vita umile, ma grande...

Anima mia, qualcosa entro te muore,
forse è già morta, dolcemente morta...

(Da "Fogline d'assenzio", 1913)




BALLATA AUTUNNALE
di Fausto Maria Martini

Con te, fratello, la montagna ascesi
in ansia di conquista;
con te, fratello, ed a l'immensa vista
non furon gli occhi dalla luce offesi.

Oggi, nel triste autunno che si muore,
andiamo, uniti, per solinga strada...
Io non ricordo più l'amaro assenzio
che bevvi, il sangue da l'ultima spada...
Io non ricordo: io vado senz'amore,
(ecco: si fende l'ala del silenzio,
cadono intorno foglie rosse e gialle,
come morte farfalle)
senza speranza, e nell'autunno, appare
questo mio cuore come un vecchio altare,
un vecchio altare senza ceri accesi...

(Da "Le piccole morte", 1906)




BRIVIDO
di Sandro Baganzani

Questo sottile male inguaribile
che non so cosa sia
che mi fa piangere di malinconia
in una giornata fine-autunno
troppo dolce per cantare
mentre sulle aie i galli raspano
i chicchi di granoturco
e la campagna
è così immobilmente silenziosa
che si sente
il volo d'un insetto tremare.
Come se io dovessi partire
per sempre:
come se tu
non dovessi amarmi più:
o forse come un convalescente
che è stato assai male
che s'affaccia alla finestra dell'ospedale
per spiare
l'inverno con un lungo brivido...

(Da "Arie paesane", 1920)




ANIME DI NOVEMBRE
di Emanuele Castelbarco

Biondo novembre, addio, tenero figlio
dell'autunno che muore, addio stagione
amica che dipingi di castagno
di fulvo d'oro le disfatte chiome
degli alberi ondeggianti agli ultimi aliti
ventosi; addio nostalgico ritorno
della lontana primavera, o estate
buona di San Martino, che col tuo
soavissimo sole il lavorio
saluti lento della sacra terra.
Dopo è l'inverno purificatore
la bianchissima pausa in cui s'adagia
dormente in germe la novella vita,
ma è anche il gelo per gli immoti colli
anche è la morte per i freddi campi:
non frullo d'ali, non trillo di grilli,
verde di fronde, lunghi canti a sera.
Ora invece, o novembre, ancora intento
nella soffice zolla il contadino
la lama affonda del sapiente aratro
e contralti di donne pei tramonti
smorzan cadenze di stornelli ardenti.
Così ci scaldi col tuo dolce sole
beatamente e assaporar ci fai
con più fondo piacere questo tardo
venir d'un tempo ch'è presso a morire.

Ma tu novembre anche più sacro sei
per i morti che porti sulle braccia
per tutti i morti sparsi per il mondo
e per i nostri che ahimè in vita amammo
meno di quanto non li amiamo in morte,
ché se nel sole della vita viva
noi si pensasse che quei puri cuori
doloranti per noi d'ansie e d'affetti
forse presto saranno soli e freddi
sotterra sì vicini e sì lontani,
o sante creature, tutto il male,
anche se poco, che compiemmo incauti
avremmo ai vostri piedi dolcemente
mutato in bene come un olocausto,
ché troppo triste è ripensarvi vive,
o sante creature, e non contente
di tanti nostri palpiti di tanti
gesti impensati nel bollir del sangue.
E noi, che nell'istante ultimo vostro
la nostra vita per la vostra avremmo
sereni offerta sorridendo a voi,
noi ne' lontani giorni dell'aprile
per un breve piacer che inseguivamo
quanto dolore, o care anime sante,
a goccia a goccia vi versammo in cuore!
Forse la vita col suo volto allegro
più crudeli ci fa che non la morte.
Il riso è una campanula d'argento
che leggermente dondola e tintinna
come cristallo al fiore della pelle
e dentro è un vuoto d'echi che vaniscono
senza ritorni e senza ricordanze,
ma le lagrime (o volto pensieroso
pallido della morte che ci guardi
ci fissi ci trascini nel mistero)
ma le lagrime sono la rugiada
dell'anima. E tu morte non lo spettro
sei per gli umani dalle occhiaie vuote
e dall'orrenda falce, ma la buona
nostra maggior sorella che ci accogli
benignamente in un immenso abbraccio
e al gran remeggio delle tue pure ali
verso mondi purissimi ci porti.
Ché se in polvere tu disfi la carne
(questo morbido sogno roseo e caldo)
l'anime irradï di più ardente vita,
e se a noi togli i corpi di chi amammo
in ispirito a lor ci riconduci.

Così tu passi tra le foglie d'oro
mite e biondo novembre, messaggero
inconscio di profonde rispondenze,
tra i cieli dileguando coronato
di crisantemi, e son le tombe in festa
tutte le tombe sono una fiorita
come un maggio risorto per incanto;
e sono veramente esse la culla
dei ricordi più puri e più lontani
dove s'adagia luminosamente
la nostra amata giovinezza morta.

(Da "Pause e motivi", 1915)




ELEGIA D'AUTUNNO
di Francesco ed Emilio Scaglione

E stamattina un pallido chiarore
ch'a le malie de l'universo invita,
e un oleandro, che ne 'l giallo ha fuore
gli occhi vermigli de la sua fiorita,
mi fanno accorto che l'autunno muore
come l'estate ier fu seppellita,
come l'inverno di cui son tornate
l'ombre de le brevissime giornate
e de le notti che non sanno amore.

Ma non è forse così bianco il sole
su' tuoi nitidi colli, amica buona,
ove d'acque, di foglie e di viole
un odorato cantico risuona,
ove perpetuo zefiro ti vuole
e freschissimi nettari ti dona,
mentre quaggiù un'ignota ansia suprema
la giovinezza mia logora e strema
in quest'attesa che non ha parole.

E a questo raggio che tra guglie e mura
etico piove sovra i miei balconi,
e ne la stanza solitaria e scura
gli atomi desta a lucide tenzoni,
ne l'angoscia che l'anima mi fura,
io di sogni m'inebrio e di canzoni;
tal se un vecchio dolore in te si spande
t'inebri di fuggevoli bevande
a smemorarti de la tua sciagura.

(Da "Limen", 1910)



Ferdinand Hodler, "Autumn evening"