domenica 21 gennaio 2018

A San Lorenzo in Lucina

Solo con Cristo nella chiesa vuota 
e scura di San Lorenzo in Lucina. 
Appesa sulla croce la divina 
immagine del dolore umano esprime 
e compatisce la mia stessa pena 

e la mia crocifissa solitudine 
che questa sera sanguina più sola, 

più sconsolata e schiaffeggiata e affranta.



Questa poesia di Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983) si trova alla pagina 86 del volume Poesie religiose e altre inedite, Aracne, Roma 2001. La curatrice di questo libro, Giuliana Rigobello, riunì 36 componimenti in versi che il poeta romano aveva scritto in un taccuino tra 1960 ed il 1966, e che mai aveva precedentemente pubblicato (a parte due liriche in versione completamente diversa). Come dice il titolo, si tratta per lo più di poesie ad argomento religioso; Vigolo non si può definire un poeta religioso a tutto tondo, ma, in molti suoi versi, si ritrovano numerosi riferimenti alla religione cristiana e non solo. Affascinato dalla città di Roma, dove nacque e visse, non smise mai di decantare la bellezza dei paesaggi, dei monumenti e degli edifici (compresi quelli di culto) della città eterna. Questa poesia, che in un manoscritto porta la data 27 gennaio 1965, probabilmente nacque da una delle infinite passeggiate di Vigolo per le strade di Roma, che lo portò, come gli capitava spesso, anche a visitare l'interno di una delle tante chiese capitoline. In questo caso il poeta varca la soglia di San Lorenzo in Lucina e si sofferma ad osservare il bellissimo Crocifisso dipinto da Guido Reni, che si trova sull'Altar Maggiore. Da questo momento scaturiscono i versi drammatici di Vigolo, la cui sostanza è ottimamente spiegata dalla curatrice nell'introduzione al libro, e che in parte riporto:

Componimenti come questo documentano uno stato d'animo profondamente afflitto, che ha le sue motivazioni, da una parte, nella vecchiaia sofferente di Vigolo, nell'isolamento, nell'oblio in cui è lasciata la sua opera, nel pensiero della morte più vicina, in un senso amarissimo di frustrazione, di scacco, come se la vita fosse stata spesa invano, marcata da un destino avverso, e, dall'altra, nell'iniquità dei tempi che vedono illanguidirsi i valori ideali, col crescere di una società materialista e lo sviluppo della civiltà tecnologica, indifferente, se non ostile, alla poesia.


Ma, oltre alla citata poesia, in questo prezioso volume se ne trovano altre ancor più drammatiche, che mostrano un Vigolo estremamente amareggiato dalla vita. Accanto a queste, per fortuna, ve ne sono alcune che esternano pensieri positivi: come se il poeta fosse continuamente soggetto a sbalzi d'umore, tali da compromettere anche una fede religiosa mai persa del tutto. Per concludere, affermo la grande importanza di quest'opera, dove è possibile leggere ulteriori versi di un grandissimo poeta (e lo ribadisco per l'ennesima volta) troppo spesso trascurato o marginalizzato per oscuri motivi.  



lunedì 15 gennaio 2018

Antologie: "Brucia, invisibile fiamma"

Tra le antologie poetiche ad argomento religioso uscite nell'ultimo ventennio, un posto di prim'ordine merita senz'altro Brucia, invisibile fiamma, a cura di Enzo Bianchi e Riccardo Larini, Edizioni Qiqaion, Magnano 1998. Per meglio chiarire il titolo ed il contenuto delle 228 pagine di questo libro, mi pare necessario riportare per intero la sinossi pubblicitaria dello stesso leggibile sul piatto posteriore:

Questo libro nasce dall'esigenza di restituire alla bellezza la centralità che le compete nella vita cristiana. La bellezza è infatti, come ricordava Hans Urs von Balthasar, "la manifestazione immediata di quel qualcosa di irriducibile che si scopre in tutto quanto è rivelato, di quell'eterna gratuità che abita l'essere di ogni esistente". La poesia veicola nelle nostre vite la bellezza della parola, che possiede un'energia capace di trasformare il nostro cuore, facendoci penetrare nel suo intimo, fino a ravvivare quell'invisibile fiamma che attende soltanto di ardere nella pienezza della vita. Alcune delle più belle poesie religiose del Novecento, disposte in modo da accompagnare la meditazione del mistero cristiano lungo i vari tempi dell'anno liturgico, sono così offerte a ogni lettore, vicino o lontano che sia dalla vita cristiana, per aiutarlo a penetrare i più profondi interrogativi su Dio, sull'uomo e sull'indicibile bellezza che sgorga dal loro incontro.

Quindi, l'opera è stata realizzata con l'arduo intento di esaltare, nello stesso tempo, la bellezza e la divinità della parola poetica, capace di riaccendere quell'invisibile fiamma presente nell'intimo di ogni anima umana. Il titolo è la traduzione italiana di un verso della poetessa russa Ol'ga Sedakova. I curatori, come già accennato, sono Enzo Bianchi e Riccardo Larini, ovvero l'ex priore ed un monaco della comunità religiosa di Bose. Bianchi è anche l'autore della prefazione.
Come spiegato nell'ultima parte dello scritto, le poesie seguono un ordine decisamente anomalo, parlando di antologie poetiche religiose: i tempi dell'anno liturgico. Per tale motivo i versi si leggono divisi nelle seguenti sezioni:

Tempo di Avvento; Dal Natale all'Epifania; Settimana di Passione; Tempo di Pasqua; Trasfigurazione; La Madre di Dio; Piccolo santorale poetico.

L'arco temporale preso in considerazione è l'intero secolo ventesimo. I poeti selezionati, sia italiani che stranieri, sono 62. Compaiono nomi più o meno noti; chi è presente con una sola poesia, chi invece, con oltre dieci. Anche la lunghezza dei componimenti in versi può variare di molto. Aggiungo infine che fa piacere, almeno per come la penso io, ritrovare qui alcuni nomi di poeti italiani ormai caduti nell'oblio o, meglio, mai abbastanza valorizzati (mi riferisco soprattutto a Elena Bono e a Donata Doni); e forse, il motivo di questa lacuna sta proprio nel fatto che costoro scrissero versi per lo più religiosi, in tempi in cui la religiosità veniva considerata quale elemento di nessun valore o, addirittura, discriminatorio (parlo, naturalmente, di certa critica letteraria militante, molto presente durante la seconda metà del XX secolo). Per chiudere, ecco, in ordine alfabetico, l'elenco dei poeti presenti in questa antologia.



Anna Achmatova, Renzo Barsacchi, Lucian Blaga, Aleksandr Blok, Dietrich Bonhoeffer, Yves Bonnefoy, Elena Bono, Martin Buber, Gesualdo Bufalino, Cristina Campo, Roberto Carifi, Angelo Casati, Paul Celan, Giuseppe Centore, Guido Ceronetti, Domenico Ciardi, Giovanni Cristini, Marina I. Cvetaeva, Roberta De Monticelli, Donata Doni, Thomas Stearns Eliot, Ugo Fasolo, Giovanna Fozzer, Luca Ghiselli, Margherita Guidacci, Marco Guzzi, Dag Hammarskjöld, Clemence Hawking, Seamus Heaney, Francis Jammes, Else Lasker-Schuler, Mario Luzi, Osip Mandel'tšam, Biagio Marin, Umberto Marvardi, Mat' Marija, Alda Merini, Thomas Merton, Davide Maria Montagna, Eugenio Montale, Roberto Mussapi, Ada Negri, José García Neto, Gino Nogara, Arturo Onofri, Boris Pasternak, Fernando Pessoa, Antonia Pozzi, Salvatore Quasimodo, Bino Rebellato, Clemente Rebora, Rainer Maria Rilke, Claudio Rodriguez, Ol'ga Sedakova, Sergio Solmi, Sr. Marie-Pierre di Chambarand, Giovanni Testori, Ronald Stuart Thomas, George Trakl, Giuseppe Ungaretti, Cesare Viviani, William Butler Yeats.


venerdì 5 gennaio 2018

Le false identità di Domenico Gnoli

Domenico Gnoli (Roma 1838 - ivi 1915) è stato un poeta anomalo nel panorama della nostra letteratura ottocentesca e non solo. Infatti, fin dalla sua prima raccolta di versi, uscita nel 1871, ebbe l'idea di modificare la propria identità, assumendo un altro nome. La cosa non si ripeté sempre, ma in altri, ulteriori momenti in cui si ripeté, questa falsificazione d'identità divenne un caso letterario; e fu proprio alle soglie del Novecento, quando lo Gnoli, ultra sessantenne, fece pubblicare una raccolta di poesie intitolata Fra terra ed astri, con lo pseudonimo di Giulio Orsini. Molti insigni uomini di lettere furono ancora una volta ingannati dal poeta romano e, poiché i versi di quest'ultimo si dimostravano più che mai validi e innovativi, inneggiarono al "nuovo poeta": il giovane Giulio Orsini che, finalmente, superava la soglia del XX secolo con un'opera fuori dal comune per le tematiche e per l'arditezza della forma. Questa illusione durò ben poco; presto, infatti, si scoprì che dietro quel giovane e baldo poeta si nascondeva l'anziano Gnoli, il quale, pur essendo già identificato, volle firmarsi col medesimo, falso nome, anche nella successiva raccolta poetica: Jacovella, che uscì due anni dopo e che rinnova e approfondisce i modi e gli argomenti della precedente. Soltanto nel 1907, in occasione dell'uscita di un volume che ricapitolasse la sua produzione poetica più significativa, Domenico Gnoli ritornò alla sua vera identità. Da ricordare che, precedentemente a Fra terra ed astri, il poeta romano aveva dato alle stampe un altro libriccino facendosi spacciare addirittura per una donna: Gina D'Arco. Malgrado non sia da annoverare tra i più interessanti e innovativi poeti del Novecento, lo Gnoli va ricordato, così come altri poeti attempati che nei primissimi anni del nuovo secolo andavano pubblicando le loro ultime raccolte (Vittorio Betteloni, Olindo Guerrini e Arturo Graf), per aver contribuito al rinnovamento della poesia italiana, già da anni in una fase di stallo, che vedeva all'orizzonte soltanto imitatori ed epigoni delle cosiddette "tre corone" (Carducci, Pascoli e D'Annunzio). Fu anche grazie allo Gnoli se, in quei tempi così sterili, si fece lentamente strada un nuovo modo di far poesia, che presto sarebbe esploso con i poeti crepuscolari e, un po' di tempo dopo, coi futuristi. Per quel che concerne il resto della produzione poetica, c'è da dire che Gnoli iniziò sulla falsa riga della Scuola romana, per poi avvicinarsi, come dimostrano le Odi tiberine, al Carducci; tracce di D'Annunzio si ravvisano nell'esile raccolta Eros, in cui si firmò, come già detto, con lo pseudonimo di Gina D'Arco. Ricordo infine che recentemente, la casa editrice Nuova S1 ha pubblicato una ristampa del libro più importante di Domenico Gnoli: Fra terra e astri.  Dopo le notizie bibliografiche, riporto quattro poesie che, grosso modo, rappresentano le fasi poetiche dello scrittore romano.



Opere poetiche

"Versi di Dario Gaddi", Galeati, Imola 1871.
"Odi tiberine", Loescher, Torino 1879.
"Nuove odi tiberine", Loescher, Roma 1885.
"Eros" (con lo pseud. di Gina D'Arco), Forzani, Roma 1896.
"Vecchie e nuove odi tiberine", Zanichelli, Bologna 1898.
"Fra terra e astri" (con lo pseud. di Giulio Orsini), Roux & Viarengo, Roma-Torino 1903.
"Jacovella" (con lo pseud. di Giulio Orsini), Roux & Viarengo, Roma-Torino 1905.
"Poesie edite ed inedite", Società Tipografico-editrice Nazionale, Torino-Roma 1907.
"I canti del Palatino. Nuove solitudini", Treves, Milano 1923.





Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 194-199; pp. 282-284).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1179-1184).
"I poeti della scuola romana (1850-1870)", a cura di Domenico Gnoli, Laterza, Bari 1913 (pp. 147-175).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 206-207).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 97-102).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 82-91).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 342-347).
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 140-153).
"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 115-118).
"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958 (pp. 1195-1215).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 11-17).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 677-700).
"I poeti della scuola romana dell'Ottocento", a cura di Ferruccio Ulivi, Cappelli, Bologna 1964 (pp. 139-163).
"Secondo Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Zanichelli, Bologna 1969 (pp. 1214-1223).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 69-74).
"Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978 (pp. 323-334).
"Bizantini e decadenti nell'Italia umbertina", a cura di Elsa Sormani, Laterza, Bari 1981 (pp. 248-257).




Testi

IL PASSEGGIO

È un verde colle aperto
Con fonti chiare e fiori e piante elette
E amorosi garzoni e giovinetti
Che pare un paradiso.

Quando presso a la sera
Soglion l'aure portar nova freschezza
Salgon le belle giovinette a schiera
Mostrando agli atti amore e gentilezza,
Sì che il colle ne olezza.
I garzoni si narran lor novelle,
Vengono e vanno e pure alle più belle
Tengon lo sguardo fiso.

Ha questa occhio d’amore,
Van dicendo, e quell’ha guancia rosata,
E quella ha un nuviletto di dolore
Sul bel viso che pare innamorata.
Taluno intorno guata,
Qual sotto un oleandro si riposa,
E quale in bianco vel tutta gioiosa
Raggia d’un gaio riso.

E poi suon di stormenti
Che dolcemente fan l’aria tremare,
E le belle dagli occhi rilucenti
Quasi tratte dal suon paion volare.
E dopo il sol calare
Pel ciel di rosa oltre ad un picciol monte.
Più d’uno allor, com’e’ dimostra in fronte,
Parte d’amor conquiso.

O giovinette al volto,
Belle e amorose e al cor false o spietate,
Quante bellezze ha il cielo in voi raccolte
A’ nostri danni par ve l’abbia date.
De la vostra beltate
Qual alma è dura si che non s’invoglie?
Ma poi null’altro che dolor si coglie,
Donne, dal vostro viso.

(da "Versi" di Dario Gaddi)





LO SGOMBERO

È tuo quel carro che torreggia avanti?
E che pensi? che fai? —
Quel carro è mio: seguo i penati erranti.
Muto casa, non sai? —

E muti in meglio? — Non lo so: che quella
Casa onde vengo via
Me la faceva stranamente bella
La matta fantasia.

Dico matta: per noi, uomini gravi,
Il giardin, la casetta
Dove passeggia il ricordo degli avi,
E dove ogni stanzetta

Ha una storia, e l'ascoltano i nepoti
Cheti, levando il mento,
Per noi son frasche, baie da idioti,
Ubbie del sentimento.

Noi gente seria ce ne andiam vagando
Dove il vento ci porti,
Per le case degli altri seminando
Andiamo i nostri morti.

(da "Odi tiberine")




VEGLIA

Saliva dai tetti, recinta di pallido nimbo,
con tacito passo la luna,
con passo di madre che mova a spiare se il bimbo
riposi a la tepida cuna.

Ed io sul balcone vegliavo, che il sonno da' stanchi
miei occhi è bandito :i pensieri
novelli d'amor senza posa l'inseguono a' fianchi,
qual muta d'alati levrieri.

Un'alta fenestra, sui tetti, splendeva lontano
lontano. Chi veglia a quest'ora?
È forse una povera madre cui stanca la mano
si piega sui lini, e lavora

lavora pel pane de' figli? È un convegno d'amanti?
Là dentro è un infermo? un morente?
Si trama là dentro un delitto? son risa? son pianti?
Ascolto, ma nulla si sente.

Sui tetti dormenti, recinta d'un nimbo leggero,
la pallida luna salìa:
confuso vegliava de l'alta fenestra il mistero
con quello de l'anima mia.

(da "Eros")




LA BASILICA

Ho nell'anima una deserta
Basilica: è umida e odora
Di vecchio. Lo spazio colora
La luce del vespero incerta

Che scende dai vetri appannati.
Vecchia pur essa, indolente
Stende le tinte sonnolente
E si perde tra i colonnati.

Entro il sacro silenzio dorme
Lo spirito degli anni grave;
Sorreggono il lungo architrave.
Varie di giro e di forme,

Le colonne, antichi frammenti
Di vaste moli ruinate,
Visioni pietrificate
Di macabri congiungimenti.

Le volute sui capitelli,
Le logore foglie d'acanto
Come un desiderio di pianto,
Si ripiegano sui listelli.

Sono frammenti d'antiche
Terme, di lieti triclini.
Di portici intorno a giardini
Ora coperti d'ortiche,

Di curvi teatri, di sale;
Sono frammenti di danze,
Sono memorie di speranze,
Sono ruderi d'ideale!

È lastricato il pavimento
Di morti: hanno levigate
Le faccie, le mani incrociate
Sul ventre, nell'atteggiamento

Ultimo. Qui nessuna arriva,
Tra i brividi del passato, nessuna
Aura del presente: nella bruna
Lontananza d'ogni cosa viva,

Non un suono, non una voce.
In fondo, sotto l'abside d'oro
Dove ritti a concistoro
Stanno gli apostoli, una croce

Nuda, nera, sul solitario
Altare le braccia spande.
È forse, o Umanità, la grande
Croce del tuo Calvario?

(da "Fra terra e astri")





sabato 30 dicembre 2017

Poeti dimenticati: Ugo Ghiron

Nacque a Roma nel 1876 e ivi morì nel 1952. Dopo il ginnasio si trasferì con la famiglia a Pisa e qui conseguì la laurea in lettere. Sempre nella città toscana cominciò a frequentare circoli letterari e a pubblicare i suoi scritti sui giornali locali; in seguito collaborò a riviste prestigiose come "Nuova Antologia", "La Riviera Ligure" e "Vita letteraria". Nel frattempo Ghiron dava alle stampe i suoi primi volumi di poesie, che attirarono l'attenzione di critici e letterati come Guido Mazzoni, Giovanni Marradi e Eugenio Donadoni. Col passare degli anni lo scrittore romano pubblicò anche poesie dedicate all'infanzia, racconti, traduzioni ed un romanzo.
La sua poesia, che rientra nell'ambito del classicismo, si rifà alla poetica pascoliana; in particolare, si nota un'attenzione all'umanità sofferente.




Opere poetiche

"Vita", Bemporad, Firenze 1908.
"Le rime della notte", Bemporad, Firenze 1913.
"Le vespe e gli eroi", Zanichelli, Bologna 1916.
"Le visioni di Atropos", Sandron, Milano 1919.
"Gli aquilotti e le rondini", Sandron, Palermo 1922.
"Tristezze", Simoncini, Pisa 1925.
"Poesie 1908-1930", Sandron, Palermo 1932.
"I canti di Dmitri il vagabondo e altre poesie", Studio Ed. Moderno, Catania 1937.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 371-376).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. III, pp. 122-127).
"L'Adunata della poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. CCLXXXXVIII-CCC).




Testi


UOMINI

Lo attese al varco, e, come belva, al collo
lo tenne forte: disperatamente
ansando, lo guardò l'uomo: impotente
poi sussultò, poi vacillò, diè un crollo.

Contro la luna l'orma d'uno stollo
ultima dileguar vide il morente:
non vide, udì vanir sì del fuggente
via pei campi la pésta... E sorse collo

squallido raggio, e, d'atre nubi ingombra,
l'alba mirò dai taciturni cieli,
atomo oscuro, il pallido insepolto:

laggiù, con gli sbarrati occhi ancor vòlto
come a inseguire un'ombra, che si celi
esterrefatta e rapida nell'ombra.

(da «La Riviera Ligure», giugno 1907)




DICE IL MALATO DI CUORE...

Io ti porto nel petto, o mia condanna.
Mi gridi ogni minuto: - Io son con te;
non ti lascio; non chiedermi mercé.
La voce son di chi muto ti danna. -

Io ti porto nel petto, o mia condanna.

Anche mi gridi: - non badarmi! Inganna
l'ora. Men triste a chi l'inganna ell'è.
Lo so che senti la tua morte in me;
lo so che per me tremi come canna

(sempre t'odo nel petto, o mia condanna)

lieve al vento; ch'io son l'ombra che appanna
il tuo sereno; ch'io son lei che ha in sé,
lei che ti grida il tuo destino, che
le lunghe notti vigile ti affanna

(oh di mia vita giovine condanna!);

ma non badarmi! l'ora lenta inganna.
Io tacerò, vedrai, senza perché,
d'un tratto, forse... Tacerò con te,
io tua lunga funèrea ninnananna. -

Non t'avessi nel petto, o mia condanna!


(da "Le rime della notte", 1913)